Coraline

Regia di Henry Selick (2009)

laura usai




Il film d’animazione Coraline, prodotto dalla Laika Entertainment e diretto dallo stesso regista di Nightmare before Christmas di Tim Burton, utilizza la tecnica dello stop motion, ed è il primo film d’animazione con questa modalità ad essere girato in stereoscopia, ossia con una doppia fotocamera digitale. Questo consente di vedere il film in 3D e di rendere viva la profondità della scena dove ha luogo l’azione, che diviene ancora più coinvolgente.

La storia è tratta dal libro “Coraline” di Neil Gaiman, che sceglie come esergo alla sua opera la frase di Chesterton:


“Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perché raccontano che i draghi esistono ma perché affermano che si possono sconfiggere”.


E la storia fa paura, si tratta di un vero e proprio film horror, dalle atmosfere gotiche ed inquietanti che tiene in sospeso dall’inizio alla fine.

La storia narra di Coraline, una ragazzina di undici anni, non più bambina, non ne ha i tratti paffutelli e accattivanti, è spigolosa, saccente, persino un po’ antipatica. Il segno della sua trasformazione e della difficoltà a definire la sua identità viene segnalata continuamente dai personaggi che la circondano che continuano a sbagliare il suo nome chiamandola Caroline e costringendola ogni volta a rettificare.

Si è appena trasferita con la sua famiglia in una nuova abitazione. I genitori sono molto impegnati e lei si annoia; la casa è vecchia e polverosa, i dintorni brulli e poco attraenti, i personaggi che incontra sono strani e bizzarri, dai vicini al giovane amico, al gatto nero. La bambola che il nuovo amico, Wyborne, fa avere a Coraline è del tutto identica a lei, con i capelli blu e lo stesso impermeabile giallo, fatta eccezione per i bottoni al posto degli occhi e questo è il primo elemento perturbante inserito dal regista che ci mostra che ci troviamo in una realtà alterata, permeata di fantasie, in un’atmosfera di attesa e inquietudine.

“Piccola me” la chiama Coraline, sarà la bambola a condurre la bambina alla porticina misteriosa, che le fa intuire l’esistenza di uno spazio da esplorare oltre la parete ma che, una volta trovata la chiave, sembra aprirsi unicamente su una parete di mattoni.

Solo in sogno, quando Coraline, attirata da alcuni topolini provenienti dall’altra realtà, si riavvicina alla porticina e la apre, scopre che, oltrepassandola, si entra in tunnel strano e luminoso che accede ad un mondo parallelo, capovolto, allegro e colorato. Qui vi sono un’“altra madre” e un “altro padre” che al posto degli occhi hanno dei bottoni. Coraline è inquietata da questo dettaglio ma allo stesso tempo si sente attratta e la sua inquietudine dura solo un istante, mentre noi avvertiamo il disagio della mancanza di uno sguardo rispecchiante, sono occhi vuoti, che non vedono veramente l’altro.

Dopo l’istante di esitazione Coraline si lascia incantare da tutto quello che di divertente ed eccitante si trova in quest’“altra” realtà: i genitori sono come li vorrebbe nei suoi desideri, una madre che cucina tante cose buone e le sta dietro, un padre che canta e gioca, fantasie da bambina piccola, fantasie che appaiono reali, ma sono incanti creati per tenerla lì.

Anche la sua stanzetta nell’“altra casa” è bellissima, piena di giochi animati e divertenti e lei a fine giornata si addormenta appagata mentre gli “altri genitori” le stanno accanto fino a quando non si addormenta e la guardano incantati come si trattasse di una neonata.

Sembra davvero tutto perfetto, anche troppo, ma tutti al posto degli occhi hanno dei bottoni, proprio come la sua bambola.

Al risveglio Coraline ritrova la realtà, il mondo polveroso e noioso della sua nuova casa dove i genitori reali, indaffarati con il loro lavoro, non riescono a darle ascolto.

Coraline passa così alcune notti, tornando ogni volta, in sogno, nell’altra casa. L’attrazione per questa fantasia onnipotente diventa sempre più forte al punto che la bambina comincia a convincersi di poterla davvero sostituire alla realtà, che le appare sempre meno colorata, meno desiderabile, e a cui è sempre più difficile ritornare. Così, quando litiga con la sua vera madre, quella madre reale che non soddisfa i suoi desideri, Coraline minaccia di non farsi più trovare e decide, di giorno, da sveglia, di attraversare la porta e andare via. Corre alla porticina che, come quella di Alice, si apre sul suo mondo incantato, e, sorprendentemente, questa volta anche nella realtà, non c’è più il muro di mattoni, così la attraversa, questa volta anche con il corpo, lasciando dietro di sé il mondo reale.

Una volta di là, l’altra madre, la madre idealizzata, le propone di rimanere per sempre, ma per farlo dovrà accettare di rinunciare ai suoi occhi e di farsi cucire al loro posto i bottoni.

È solo in questo momento, alla prospettiva di perdere gli occhi, che Coraline si angoscia, entra in allarme, cogliendo finalmente la pericolosità di rinunciare per sempre alla propria identità.

La paura le consente di vedere finalmente che le cose nell’altra casa non sono realmente come sembrano, e che, come nel paese dei balocchi di Pinocchio, le seduzioni dell’altra madre hanno un prezzo ed hanno il solo obiettivo, narcisistico, di trattenerla a sé.

Allora Coraline prova a fuggire e, pensando che basti andare a dormire nella sua cameretta per tornare nella realtà come aveva fatto le volte precedenti, corre e si infila sotto le coperte. Ma questa volta ha attraversato il tunnel con tutto il corpo, non solo in sogno, così dovrà ripassare attraverso la porticina e riattraversare il tunnel.

Quando percepisce di essere in trappola saranno le parole del gatto, l’unico altro personaggio che, come lei, non ha un doppio nel mondo al di là della porta, ad aiutarla a comprendere cosa accade. Proprio quel gatto che l’altra madre, la “megera”, non sopporta, e che sembra essere l’ultimo legame che Coraline mantiene con la realtà e con la possibilità di liberarsi dalla fantasticheria onnipotente e dall’abbraccio di una madre narcisistica e mortifera.

Il gatto, che non si lascia addomesticare, non accetta dipendenza o vincoli, sembra rappresentare la capacità della bambina di svincolarsi, di vedere oltre la seduzione di una relazione illusoria che chiede di sacrificare il proprio sé.

Ed è proprio quando Coraline si rifiuta di “rinunciare a vedere”, che l’altra madre mostra il suo vero volto e si rivela per ciò che è: un essere spaventoso e minaccioso, con le mani simili ad artigli che la afferra e, facendole attraversare uno specchio, la chiude in uno stanzino. Lì Coraline incontrerà le anime di tre bambini con i bottoni al posto degli occhi che le spiegheranno quello che fa veramente “l’altra madre”. Nel libro i bambini raccontano:


“Non fa male… lei ti prenderà la vita, tutto quello che sei e tutto quello a cui tieni, e ti lascerà solo nebbia e foschia. Ti porterà via la gioia e un giorno ti sveglierai e anche il tuo cuore e la tua anima non ci saranno più, sarai solo un involucro, un fuscello, della consistenza di un sogno al risveglio, o del ricordo di qualcosa di dimenticato”.


Appena liberata dallo stanzino Coraline fugge lanciando il gatto contro gli occhi della megera, si affretta a chiudere a chiave la porticina e a tornare nel mondo reale. Ma, a casa, i suoi genitori non ci sono più, al loro posto ci sono delle bambole con le loro fattezze e gli occhi a forma di bottoni. Si è salvata, ma forse ha perso tutto?

Passano alcuni giorni durante i quali Coraline sembra non riuscire a reagire al dolore. Quando però si rende conto che la megera ha rapito i suoi genitori, capisce che deve crescere e affrontare ciò che più le fa paura. È il momento di assumere su di sé l’identità di una ragazzina più grande, e decidere, nonostante la paura, di combattere per cercare e recuperare i suoi genitori reali.


“Non è vero coraggio quando non hai paura”, dice Coraline nel libro di Gaiman, “è solo quando hai paura di qualcosa e la fai comunque, quello è coraggio”.


Così Coraline ritorna dall’“altra madre” e, ancora su suggerimento del gatto, le propone di “giocare” per liberare i suoi genitori, la megera accetta e le chiede di cercare e trovare ciò che si nasconde dietro ogni meraviglia che ha creato per lei.

Coraline sa che deve lottare per i suoi genitori e per i bambini nello stanzino, quelli che non ce l’hanno fatta e ora che non hanno più una vita e nemmeno un nome, nel libro raccontano:


“I nomi, sono la prima cosa che se ne va, dopo il respiro, dopo il battito del cuore”.


Così, usando la piccola lente che le strambe vicine di casa le hanno dato e che consente di trovare le cose perdute, si mette alla ricerca di ciò che si nasconde dietro ogni meraviglia. Così, uno per volta, trova gli occhi dei bambini e, ogni volta che ne trova uno, la meraviglia che l’aveva incantata si sgretola, la megera perde potere e l’illusione perde vigore mostrando la propria inconsistenza.

Coraline ha visto che i genitori sono intrappolati nella sfera di neve che la sua famiglia teneva sulla mensola del caminetto. Deve riuscire a liberarli e a scappare via.

Così con un piccolo inganno, riesce a farsi aprire la porticina dalla megera, afferra la sfera di cristallo in cui sono nascosti i genitori e scappa via.

Faticosamente Coraline riesce a tornare nella vera casa e a chiudere la porticina alle proprie spalle.

In realtà la sua lotta non è ancora finita, la mano della megera infilatasi nelle realtà cerca in tutti i modi di recuperare la chiave ma non ci riesce, nonostante il suo potere.

Con l’aiuto del suo amico Wyborne, Coraline riesce a far cadere mano e chiave nel pozzo.

Dunque, anche se in fondo al pozzo, la chiave esisterà ancora, quasi a rappresentare un rischio recondito ma sempre presente per il prossimo bambino o bambina che la troverà e che potrà scegliere liberamente di aprire la porta e di attraversarla alla ricerca dell’altra madre.

“Tutti ne hanno una” aveva avvertito l’altra madre all’inizio.

È una fiaba classica, dunque, in una casa moderna, con due genitori più disattenti che cattivi, molto presi dal lavoro e che hanno smesso da un po’ di far girare la loro giornata intorno alla figlia ormai grandicella. Coraline si dibatte in quel periodo fuori dal tempo in cui non si è più bambini ma nemmeno ancora grandi, il periodo in cui crescere fa ancora paura e il mondo appena lasciato dei giochi, delle bambole e dei genitori adoranti attrae irresistibilmente con la forza di una struggente nostalgia.

La storia insomma è quella di una bambina che cresce, la descrizione a tinte forti del percorso che deve compiere dentro di sé e della lotta tra il desiderio ancora intenso di restare piccola e la graduale consapevolezza che quel mondo infantile non è più attuale. È la descrizione di quello che può accadere quando la fantasia, nata per difendersi dal cambiamento e fermare il tempo, si trasforma drammaticamente in fantasticheria intrappolando e togliendo l’energia necessaria a vivere efficacemente nella realtà.

In questa storia i genitori sono molto reali e, con le dovute proporzioni, somigliano ad ognuno di noi. A differenza dell’altra madre però, che riempie Coraline di attenzioni e le crea un mondo secondo i suoi desideri solo con lo scopo narcisistico di tenerla tutta per sé e nutrirsi della sua energia psichica, i due, potremmo dire, sono “sufficientemente buoni”, le loro mancanze permettono alla figlia di fare il viaggio necessario per diventare grande. Anzi, Madre e Padre contribuiscono inconsapevolmente all’attuarsi dell’avventura di Coraline, il padre le suggerisce la ricerca e la madre le trova la chiave aprendole perfino la prima volta la porticina.

Funzione del genitore naturalmente non è quello di soddisfare ogni minimo desiderio del figlio, impedire che si annoi, riempire le sue giornate di passatempi divertenti e aiutarlo in ogni minima prova, proteggerlo da ogni frustrazione, ma quello di aiutarlo e sostenerlo ma allo stesso tempo lasciarlo andare, lasciare che faccia le proprie esperienze per poter crescere.

La porta di Coraline, dunque, non va tenuta chiusa dal genitore, il figlio deve poter entrare e incontrare i mostri cattivi che abitano dentro di lui, confrontarsi con i propri desideri onnipotenti e con le proprie paure per dimostrare a sé stesso che essi possono essere affrontati e sconfitti.