Introduzione
giovanna maria mazzoncini

Si è da poco concluso il “X Congresso Internazionale sull’Infant Observation secondo Esther Bick e sulle sue Applicazioni” tenutosi a Torino il 2-5 novembre 2017, dell’ Association Internationale pour le développement de l’Observation du bébé selon Bick (AIDOBB) che ha visto una grande partecipazione di operatori dell’età evolutiva, di terapeuti e psicoanalisti provenienti da ogni parte del mondo, un’ampia testimonianza che mostra come sia ancora importante fonte l’esperienza dell’osservazione psicoanalitica, specie dell’Infant Observation. Gli interventi hanno testimoniato l’attualità del metodo e il suo profondo significato nel campo della formazione degli analisti dell’età evolutiva, molte relazioni hanno riguardato le numerose e varie applicazioni in ambiti istituzionali ed educativi e comunitari. Nonostante siano passati decenni da quando Esther Bick introdusse nel 1960 l’osservazione del bambino nel programma dell’Istituto di Psicoanalisi di Londra, già in vigore dal 1948 per il Training degli Psicoterapeuti Infantili della Tavistock Clinic di Londra, tuttora la formazione psicoanalitica per terapeuti, non solo dell’infanzia e dell’adolescenza ma anche degli adulti, prevede fin dall’inizio l’esperienza osservativa ritenendola essenziale per conoscere “gli oggetti psichici” propri e dell’altro, lo sviluppo di un bambino in rapporto con la propria madre e con l’ambiente relazionale in cui vive.
 Scrive Esther Bick: “Credo che il materiale di osservazione dell’infanzia collegato più tardi con l’esperienza clinica sia con adulti che con bambini darà loro la convinzione dell’importanza di osservare prima di tutto il comportamento dei pazienti come parte dei dati relativi alla situazione analitica, come pure rafforzerà la loro fede nella validità della ricostruzione analitica degli sviluppi dell’infanzia” (1964).
La recente Giornata di Studio AIPPI tenutasi a Milano il 18 febbraio 2017 “Infant Observation. Emozioni e metodo. Insegnare ed apprendere” ripropone una riflessione ampia sull’esperienza dell’Infant Observation che fa parte del training AIPPI, fin dagli inizi dei Corsi Osservativi e Clinici di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile a Roma, allorquando insegnanti della Tavistock Clinic di Londra, tra cui in primis Gianna Polacco, portarono alla nostra conoscenza il metodo e la sua applicazione. La proposta che viene da questo focus è quella di considerare gli arricchimenti teorici che si sono succeduti, anche gli attuali contributi di autori francesi. Una raccolta interessante su questo tema è quella che troviamo nel Journal de la psychanalyse de l’enfant (2016) in cui autori come Jean-Claude Guillaume e Didier Houzel e René Roussillon e Susanne Maiello, per citarne solo alcuni, affrontano specifici aspetti del percorso formativo approfondendo i vertici teorici di riferimento.
Desidero sottolineare come sia attuale e necessaria la riproposizione di questo tema e di questo modello in cui due aspetti non si possono disgiungere: osservare e pensare, osservare e sentire. Costituisce una proposta diversa e opposta ad altre proposte formative attuali più appetibili, in quanto caratterizzate da tempi brevi, da rapidi percorsi semplificati nei ritmi e nei tempi e nei contenuti, spesso in assenza di analisi personale. Infatti la formazione psicoanalitica si fonda su solidi pilastri, analisi personale, esperienza osservativa, spesso biennale, supervisione clinica e seminari teorici e clinici in gruppo. Tutto ciò richiede un tempo sufficientemente lungo per costruire una dimensione emotiva e psichica possibilmente più consapevole e cosciente capace di contenimento, differenziazioni e trasformazioni. La sfida a cui ci sottopone la società attuale, in cui tutto deve essere rapido con prodotto compiuto e concreto oggettivabile, esposti costantemente alla lusinga della “riduzione” e della semplificazione, è quella di credere nel metodo psicoanalitico.
Il libro di Carla Candelori L’esperienza dell’osservazione (2013) rappresenta un contributo molto utile per approfondire e sottolineare l’importanza dello strumento osservativo e soprattutto dell’Infant Observation, mostrando la sua possibile declinazione nella formazione, nella clinica e nelle varie applicazioni in ambito istituzionale. 
Se la proposta metodologica è rimasta pressoché uguale nel tempo, lo sviluppo applicativo dell’Infant Obsevation si è ampliato all’osservazione del bambino in età prescolare (Young Child Observation) creando una possibilità di esplorare il gioco, lo sviluppo simbolico e la relazione con gli adulti e coetanei anche fuori dall’ambiente familiare. L’ampliamento a contesti non familiari ad esempio scolastici, a ospedali pediatrici ha potenziato la ricerca e arricchito la conoscenza dello sviluppo psichico della prima infanzia in condizioni difficili e traumatiche. L’Infant Observation ha il grande merito di aver potenziato la ricerca riguardo alle prime fasi dello sviluppo psichico, prediligendo la ricerca dell’arcaico e le relazioni con gli oggetti primari, pertanto continua ad essere una fonte inesauribile di conoscenza.
L’importanza dell’osservazione diretta ha le sue radici già in Freud quando riporta il gioco del rocchetto di un bambino di un anno e mezzo, nello scritto del 1920 Al di là del principio di piacere, in cui evidenzia come già un bambino nella prima infanzia sia capace di mettere in atto difese primitive rispetto ad esperienze separative.
 Winnicott, in “L’osservazione dei bambini piccoli in una situazione prefissata” (1941), in consultazione presso un reparto pediatrico, introduce l’osservazione del bambino in interazione con la madre e con l’osservatore giovandosi del gioco dell’abbassalingua. In numerosi scritti Winnicott mette al centro della sua teorizzazione le relazioni affettive primarie, con grande attenzione all’ambiente affettivo dove il bambino cresce, quindi alla situazione ambientale e gruppale che solo in seguito sia Bion che Meltzer svilupperanno. È particolarmente importante il concetto di “preoccupazione materna primaria” e di “madre sufficientemente buona” in cui Winnicott evidenzia il grande lavoro psichico della madre e come l’interazione madre-bambino sia fondante lo sviluppo psichico del bambino stesso.
 Anche S. Isaacs da molto valore all’osservazione all’interno di un contesto affettivo,e tiene in conto la dimensione sociale ed affettiva e pone in evidenza come nell’esperienza osservativa delle fasi precoci di sviluppo, possiamo imparare a esplorare le fantasie inconsce.
Molti altri psicoanalisti hanno sviluppato l’interesse e lo studio nell’area dell’infanzia e delle fasi precoci di sviluppo. Anna Freud sottolineando l’importanza dell’osservazione diretta nella formazione dei futuri psicoterapeuti, ne evidenzia il limite conoscitivo dato che l’accesso agli aspetti inconsci non è equiparabile a quello che può emergere nell’analisi.
M. Klein sottolinea anche lei il limite dell’osservazione diretta, ritiene che i processi inconsci siano rilevabili solo in parte dal comportamento, anche se darà valore, come è evidente nei suoi lavori, all’osservazione anche dei dettagli comportamentali e dei movimenti emotivi del bambino. Introduce l’importanza di un coinvolgimento emotivo dell’osservatore che deve essere disponibile a mettersi in contatto con i propri aspetti inconsci.
Il concetto di campo dei Baranger e soprattutto lo sviluppo di questo da parte di altri autori successivi, hanno contribuito ad ampliare la teorizzazione psicoanalitica. Ma è con Bion che vi è un profondo cambiamento della teoria e della tecnica in quanto introduce la dimensione gruppale e le interazioni: contenitore e contenuto entrano in relazione profonda tra loro provocando reciproche trasformazioni. Inoltre le oscillazioni Ps e D, al centro della vita mentale, riportano ai vissuti di incertezza, alla necessità di creare significati, alla difficoltà di tollerare l’angoscia e alla spinta all’agire. Bion sottolinea il legame emozionale con gli oggetti che si manifesta nell’incontro tra due menti e nell’esperienza emotiva tra due persone.
Con la teorizzazione di Bion è possibile meglio definire il focus dell’osservazione psicoanalitica che riguarda l’influenza reciproca dei movimenti inconsci che sono in campo, non solo l’oggetto da osservare è il bambino e la madre, ma soprattutto la sua interazione con la madre e con l’osservatore, per scoprire e capire quali emozioni o sentimenti, quali identificazioni e proiezioni si attivano reciprocamente.
D. Houzel introduce il termine charité, carità, lo accosta a empatia come due stati emozionali e sentimenti presenti e necessari all’esperienza osservativa “allorquando l’osservatore è perduto nel caos senza forma, in un mondo incomprensibile, all’interno di una comunicazione di cui ha perso la chiave”. Il richiamo alla pazienza e alla fede, l’atto di fede bioniano, si completa affermando che fede e carità non vanno disgiunte al servizio del raggiungimento di un significato in ogni espressione di ciò che è osservato.  
Grande contributo alla teoria e alla diffusione del metodo viene da M. Harris (1976, 1980) che sottolinea come l’osservatore nell’esperienza osservativa è costretto a contattare le proprie esperienze infantili e può proiettare desideri e terrori inconsci, da cui si difende con eccessiva idealizzazione o al contrario critica e distanza.
Molti autori e docenti della Tavistock Clinic di Londra, M. Rustin, I. Wittemberg, A. Alvarez, per citarne solo alcuni, hanno diffuso nell’insegnamento e negli scritti la fiducia in un metodo che, specie nella formazione, aiuta a pensare al proprio mondo emozionale, a fare ipotesi secondo la rêverie bioniana, sul mondo emotivo e inconscio proprio e dell’altro e all’influenza reciproca che si determina. Pertanto si é lontani dall’apprendimento “scientifico” e intellettuale, solo teorico, é invece l’apprendimento “dell’apprendere dall’esperienza” emotiva. Negli ultimi decenni l’interesse verso lo sviluppo psichico precoce e verso le esperienze preverbali e presimboliche e verso le arcaiche esperienze interpsichiche, ha richiamato alla ricerca in queste aree molti autori e credo che L’Infant Observation abbia un posto di primo piano.
Un ausilio prezioso all’approfondimento sia teorico che applicativo del metodo è il libro di Maria Antonietta Lucariello e Maria Peluso “Prospettive dell’Osservazione” (2009). La prima parte tratta dello statuto epistemologico dell’osservazione e la seconda parte della metodologia e delle modalità pratiche attuative dell’Infant Observation, ponendo grande attenzione alla connessione con la clinica. “Con l’osservazione, si apre uno spazio epistemologico che contempla il significato e la valenza emotiva insita in ogni aspetto comportamentale e coniuga presente e passato nella mente dell’osservatore […] l’osservazione psicoanalitica si pone come alternativa sia al metodo sperimentale sia al metodo osservativo così come verrà codificato dalla ricerca, nell’ambito della psicologia dello sviluppo” (pag. 65). Le autrici sottolineano l’ampia portata degli studi di molti autori sulla vita intrauterina e neonatale e sullo stato protomentale riferendosi agli apporti bioniani, mostrando un parallelismo con le neuroscienze che sempre di più si rivolgono alle radici della vita mentale.
I lavori presentati in questo Focus si riferiscono all’esperienza dell’Infant Observation di un bambino in rapporto con la madre, a contatto con la sua famiglia e nel suo ambiente di vita fin dalla nascita, viene sottolineata la peculiarità ed eccezionalità dell’esperienza, perché l’osservatore si trova immerso in un campo esperenziale speciale, quello delle prime fasi di vita, pieno di intense emozioni e intensi movimenti emotivi sia per il bambino sia per la madre che necessariamente coinvolgono chi osserva, pertanto l’oggetto dell’osservazione sono tutti i soggetti di quella specifica situazione. Il coinvolgimento non può essere che reciproco e vi è un reciproco scambio di emozioni primitive. L’osservazione è si un’occasione eccezionale per conoscere lo sviluppo di un bambino all’interno delle relazioni primarie, esperienza che sarà molto utile anche nel lavoro terapeutico con i bambini, avendo già appreso come si sviluppa un bambino e come possono essere comprensibili i suoi comportamenti, se collegati al suo mondo interno, ma soprattutto è l’esperienza di sostare in un campo emozionale dove l’altro rinvia a se stessi, imparando l’umiltà e il silenzio pensante, la sospensione del giudizio e del pregiudizio, il valore della comunicazione non verbale.  
 L’osservatore inevitabilmente viene coinvolto, dato che riemergono vissuti infantili con i conseguenti movimenti proiettivi ed identificativi.
Presente in tutti i lavori è il concetto di scambio emozionale e l’importanza dei vissuti dell’osservatore e dei suoi meccanismi difensivi e vissuti controtransferali. Ciò che l’osservatore dovrà imparare è a dar significato a ciò che sente, a ciò che il vissuto che percepisce o ipotizza nell’altro gli crea e a riportare l’esperienza emotiva al pensiero.
 L’esperienza “apprendere dall’esperienza” emotiva, come insegna Bion, diventa trasformativa, dall’emozione al pensiero, prende forma il senso di ciò che l’osservatore sta vivendo in relazione con l’altro e ciò che l’altro a sua volta gli sta manifestando in relazione ai suoi vissuti.
 Guillaume, nell’articolo che pubblichiamo, scrive: “La conoscenza non può ridursi alla proiezione di una lettura dell’inconscio effettuata dall’analista sul suo paziente, ma deve tener conto anche dell’impatto del paziente sulla psiche dell’analista, dell’influenza dell’osservato sull’osservatore. La comprensione dell’altro si orienta d’ora in avanti sull’attenzione dedicata agli affetti percepiti in sua presenza, segni di un incontro inconscio da percepire e da codificare” (2016).
 Vi è un ampliamento anche della teorizzazione kleiniana in quanto il vertice bioniano riporta e rimette in primo piano la parte attiva dell’analista, che sente e pensa e da valore alla costruzione di una disponibilità mentale controtransferale, necessaria per accogliere ciò che circola nel mondo interno e in quello esterno.
L’importanza data alle reciproche proiezioni e identificazioni in campo, permette di concepire l’osservazione psicoanalitica, specie l’Infant Observation, come una vera difficile palestra psichica, necessaria per imparare quello che succede nel mondo interno dell’osservatore e come il suo essere in corpo e mente in quella specifica e unica situazione, provochi cambiamenti in tutti i soggetti in campo e sposti l’obiettivo e l’interesse lontano dall’oggettività e dalla realtà concreta.
Guillaume nel suo lavoro riprende molti concetti bioniani, specie quando si riferisce all’angoscia catastrofica che inevitabilmente invade l’osservatore immerso in questa nuova conoscenza di Sé e dell’altro. L’apprendimento riguarda proprio la capacità di sostenere psichicamente l’impatto con emozioni molto primitive e contenerle fintanto che “l’arcaico” diventi fonte emozionale positiva trasformata e significata dalla funzione alfa del pensiero.
Nella descrizione del metodo è chiara l’importanza di procedere con una mente “tabula rasa”, come indicava Esther Bick, priva di pregiudizi, teorie e valutazioni proprio perché non è un apprendimento del “teorico” ma del “vissuto pensato”, questo richiede la messa in modo di autenticità, di verità, di curiosità verso di sé, verso l’altro e verso il mondo. La conoscenza vera e l’apprendimento necessitano della caduta dell’onnipotenza e della difesa narcisistica.
Guillaume richiama due atteggiamenti mentali indispensabili per l’osservatore e per il futuro analista, due funzioni che riguardano la pazienza e la sicurezza a cui possiamo aggiungere la fede e la fiducia nel nostro lavoro analitico nonostante le difficoltà e le imprevedibilità, consapevoli di apprendimenti necessari continui in un percorso formativo perenne.
Suzanne Maiello sottolinea come l’Infant Observation sia uno strumento semplice nella forma ma complesso nella sostanza che è “apprendere dall’esperienza”, secondo il pensiero bioniano e ne sottolinea la profonda valenza trasformativa, allorquando l’osservatore, consapevole delle proprie difficoltà, ma anche delle proprie capacità, sa fornire un contenimento mentale. Questo permette di accogliere contenuti dolorosi o aspetti confusi o non ancora elaborabili presenti nell’esperienza. Maiello chiama questa funzione mentale “funzione materna” che richiama alla mente le funzioni genitoriali che nomina Meltzer, quando elenca le funzioni positive: sostenere la speranza, diffondere amore, contenere l’angoscia depressiva e l’odio. Maiello nomina un’altra funzione necessaria all’osservatore ed è la “funzione paterna” che riguarda la capacità di differenziare e distinguere le proiezioni in campo e di riconoscere i reciproci movimenti emozionali e le identificazioni proiettive e di determinare la giusta distanza emotiva, necessaria per mantenere il setting osservativo e la capacità osservante. Queste due funzioni devono interagire e costruire entrambe una funzione mentale bisessuale, in riferimento alla teorizzazione di Houzel (2003). Nell’Infant Observation “l’osservatore impara a tollerare, senza agire, degli stati emotivi primitivi intensi, suscitati dalla situazione esterna oppure dal mondo interno dell’osservatore o da entrambi” La funzione di differenziazione pone la questione della rinuncia alla fusione e determina la separatezza e quindi da posto al terzo senza cadere in vissuti di esclusione o rifiuto o perdita. Lo spazio terzo o essere il terzo riporta al pensiero di Britton (1989) quando descrive lo sviluppo della configurazione edipica.  
In questa teorizzazione Britton evidenzia l’importanza di essere nella relazione ma anche esterno osservatore di se stesso e degli altri. Questa mobilità di posizioni e di ruoli comporta la capacità di considerare se stessi, gli altri e le relazioni con gli altri da vertici diversi a volte divergenti “essere nello stesso tempo in sé e nella posizione del terzo, sia nella situazione di osservazione che verso se stesso”. Questo permette anche la ricerca e lo sviluppo di meccanismi interattivi meno statici e rigidi.
È evidente non solo la complessità dell’esperienza ma anche il lungo percorso che inevitabilmente deve compiere l’osservatore che passerà da stati di sofferenza, incertezza, difese primitive, soprattutto, sottolinea Maiello, nel periodo di attesa in cui non è ancora avviata l’osservazione con la presenza del bambino. Tale periodo che mette l’osservatore di fronte all’impotenza, al non sapere “egli non sa e deve tollerare di non sapere”, secondo il pensiero bioniano, è altamente formativo perché è la base per sperimentare e formare una capacità negativa.
La capacità negativa di cui parla anche Bion, è qui chiaramente descritta da Maiello e dagli altri autori di questo Focus e riporta a quella funzione di contenimento necessaria rispetto a stati d’animo dolorosi, rispetto a situazioni in cui la pena psichica e la preoccupazione per sé e per l’oggetto è prevalente e in cui è necessario sostare senza agire, tollerare l’impotenza e la persecutorietà.
La capacità negativa richiama la speranza, che lungi dall’essere un richiamo retorico, rappresenta un elemento sostanziale nel lavoro analitico e quindi anche nella formazione. La speranza testimonia l’interiorizzazione di esperienze buone, l’appoggio e il contatto con i nostri oggetti buoni che ci sostengono e guidano nelle tempeste o nello stagnante tempo, la speranza è memoria che i bambini possono crescere e hanno grandi potenzialità vitali, che le mamme possono sbagliare ed imparare, soffrire, odiare e amare i loro bambini, che in ognuno esiste una capacità riparativa ed evolutiva perché rappresenta una spinta istintuale vitale che ci porta a contattare i propri oggetti buoni.
Nel lavoro di Patrizia Gatti e Mariadele Santarone oltre ad un ampio approfondimento dei concetti che riportano agli stati mentali precoci, alla complessità dell’esperienza osservativa e al campo emotivo, in un continua dialettica tra mondo interno ed esterno, vi è un interessante riferimento alla strutturazione del setting e alla funzione del seminario osservativo, a quella del gruppo e del leader, attraverso casi molto significativi ed esemplificativi del percorso formativo dell’osservatore.
 Il riferimento allo spazio triangolare teorizzato da Britton (1989) riguardante la situazione edipica, viene ripreso e traslato nell’esperienza osservativa: la creazione di uno spazio terzo, il seminario osservativo, la presenza del gruppo dei pari che presenzia in ascolto e comprensione come un terzo osservante e l’osservatore in un ruolo terzo che pensa la propria esperienza emotiva, rappresentano dei percorsi e passaggi significativi e molto formativi.
Il seminario e il gruppo hanno funzione contenitiva ed è una seconda esperienza per l’osservatore che può ri-sperimentare uno scambio emotivo reciproco con il gruppo e nello stesso tempo elaborare e trasformare l’esperienza emotiva in una esperienza pensata. “come avviene nella rêverie materna per il neonato, anche il gruppo ha la funzione di ricevere e tollerare il disagio dell’osservatore, i suoi elementi beta, in modo che possa reintroiettare l’esperienza modificata”. Le autrici richiamano la funzione Gamma del gruppo (Corrao, 1981) in quanto il gruppo svolge la stessa funzione contenitiva e trasformativa.
Il richiamo a Gianna Polacco che tanto ha contribuito a far crescere l’esperienza osservativa in Italia, completa il bel lavoro delle autrici: riportano a noi un suo pensiero che raccomanda che l’osservatore, e a noi tutti se vogliamo apprendere ad osservare, abbia una mente possibilmente recettiva, concava e non convessa. Ciò permette che anche la mente concava del gruppo seminariale colga il clima emotivo e comprenda i processi inconsci sottostanti.
Il tema della funzione del seminario osservativo viene ripreso da Miriam Monticelli e il suo lavoro mette in evidenza come nelle situazioni difficili sia necessario che il Seminar Leader operi una funzione di contenimento, ma aiuti anche a cogliere, a capire e a differenziare gli intensi vissuti transferali e controtransferali attivati nel gruppo seminariale. Attraverso il materiale osservativo di due casi portati nel gruppo mostra l’importanza di una presenza contenente e pensante del conduttore che deve conservare il più possibile una funzione analitica della mente, cioè una comprensione allargata e approfondita della dinamica del gruppo e una attenzione vigile, atta a contrastare funzionamenti per assunti di base. Aiutare un gruppo a tollerare il dolore mentale e a pensare, riconoscendo le difese proiettive ed identificative, rappresenta un’opportunità formativa necessaria a dare il vero significato all’osservazione, che è quello di imparare sulla vita mentale precoce e sulle relazioni precoci ma soprattutto è un’eccezionale esperienza per contattare i propri vissuti infantili. In questo lavoro una bella citazione di Meltzer “un processo che ha le sue origini e la sua forma all’interno del paziente, solamente presieduto e facilitato dall’analista” sembra rappresentare il gruppo che necessita di un leader che contenga e favorisca la crescita della mente stessa del gruppo.  
Ritengo che il metodo osservativo possa ancora dare molto agli studi e alle ricerche sui primordi dello sviluppo psichico e possa ugualmente avere linfa anche dalle teorizzazioni attuali da altri pensatori interessati alle prime fasi di sviluppo, che come quelle di Bion e di Meltzer aprono l’orizzonte coniugando strettamente l’intrapsichico con l’interpsichico, il transfert con il controtransfert, l’individuo con il gruppo.
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Giovanna Maria Mazzoncini
Medico Neuropsichiatra Infantile
Psicoanalista (SPI/IPA)
Psicoterapeuta di Bambini,
Adolescenti e Famiglie (AIPPI)
Didatta AIPPI
Esperta Bambini, Adolescenti (IPA)

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