Alla ricerca di una terra cui appartenere

I gruppi di mutuo aiuto in ambito associativo familiare

a sostegno delle famiglie adottive

anna guerrieri




Introduzione


La letteratura scientifica nazionale e internazionale da tempo evidenzia quanto sia fondamentale, per le famiglie adottive, sia la formazione all’incontro con i figli, sia la possibilità di accedere a sostegno post adottivo qualificato. Come chiarisce Brodzinsky:


“…le famiglie adottive hanno da tre a quattro volte più probabilità di chiedere consulenza per i loro figli, e da cinque a sette volte più probabilità di cercare un trattamento residenziale, rispetto alle famiglie biologiche (Price & Coen, 2012; Vandivere, et al., 2009; Howard, et al., 2004; Landers, Forsythe, & Nickman, 1996). Mentre alcune di queste differenze possono essere dovute a una maggiore disponibilità a cercare aiuto, sono anche indicative di un livello più alto di difficoltà. Ci sono molti ostacoli, tuttavia, che queste famiglie incontrano nel ricevere il tipo di aiuto di cui hanno bisogno. Uno dei principali è che pochi professionisti sono “competenti per l’adozione”, cioè formati in entrambi i problemi legati all’adozione, come attaccamento e identità, e nei tipi di condizioni affrontate da molti di questi bambini che hanno subito traumi complessi”. (Brodzinsky, 2013).


Adottare significa accogliere l’alterità e l’estraneità e l’incontro tra figli e genitori è, per adulti e bambini, un processo costellato di tentativi tortuosi. Ci si muove nella incertezza o meglio nella certezza del non conoscere e del non conoscersi. Tuttavia può essere, in effetti, proprio questa percezione tangibile di limite, di impotenza, a permettere di incontrarsi accedendo finalmente ad una corporeità istintiva con cui è facile perdere il contatto durante un percorso fatto di decisioni giudiziarie, documenti ufficiali e incontri con servizi territoriali e professionisti del privato sociale. Guerrieri e Marchianò sottolineano come


“la composizione della famiglia adottiva presuppone apertura, desiderio di conoscenza del mondo, attraverso l’incontro di diverse appartenenze. Essere, tuttavia, poi, famiglia senza aggettivazioni è qualcosa di non scontato nell’adozione perché le specificità ci sono, perché essere riconosciuti dalla rete sociale non è semplice quando si è portatori di qualcosa che gli altri non conoscono. È molto difficile essere speciali, quando non si vuole esserlo”. (Guerrieri e Marchianò, 2018).


Le famiglie adottive sono famiglie costituite per decisione giuridica, dopo valutazione da parte dei Servizi e del Tribunale, dopo lunghe attese e percorsi impegnativi emotivamente e fisicamente. Sono, famiglie pubbliche, immerse nelle necessità sociali (come quelle della scuola) quando la costruzione delle appartenenze reciproche è appena iniziata. Sono famiglie nate in assenza di una dimensione fisica e sessuale nell’attesa e nell’incontro col figlio; nate da un incontro di biografie e impegnate nel lavoro di accoglienza delle storie reciproche. Nel 2018, EUROADOPT, focalizzando sulle necessità delle famiglie e sulle strategie di sostegno attuate nei vari paesi, mise in luce il ruolo delle famiglie adottive stesse nel creare gruppi di mutuo aiuto, ingredienti cruciali del supporto post adottivo in Europa. D’altra parte, come sottolineato in Ferritti (2019):


“L’associazionismo familiare tout court si sviluppa a partire dalla condivisione dei bisogni tra famiglie, mettendo al centro le risorse a volte inespresse delle famiglie stesse, come la capacità di promuovere e fortificare la rete relazionale attorno ai singoli componenti e contrastare l’isolamento e la fragilità dei legami sociali in un’ottica sussidiaria”.


In Italia l’associazionismo familiare adottivo è continuo attivatore di iniziative culturali e di gruppi di mutuo aiuto in cui strumenti essenziali sono proprio la condivisione delle esperienze e la significazione delle stesse con operatori esperti di adozione. 



Una modalità di lavoro 


Molteplici sono le possibili metodologie di sostegno delle famiglie e dipendono da chi le mette a disposizione: i servizi, le aziende sanitarie, i professionisti (psicologi e pedagogisti) privati, gli enti autorizzati, le associazioni. In quanto segue viene descritta una tipologia di sostegno propria dell’associazionismo familiare: il gruppo di mutuo aiuto. In particolare si esplora come tutto questo venga realizzato da una specifica associazione, Genitori si diventa, associazione di cui l’autrice è stata vicepresidente prima e presidente poi dal 2006 al 2018, occupandosi con particolare attenzione della strutturazione del mutuo aiuto. Genitori si diventa, nata nel 1999, è una organizzazione di volontariato ed è un’associazione di genitori, con la finalità di portare supporto agli altri genitori adottivi e fare cultura. Dal 2009 è parte di un vasto coordinamento di associazioni familiari e adottive, il Coordinamento CARE, che ha contribuito a fondare. In Genitori si diventa i gruppi di mutuo aiuto sono iniziati nel 2006 come luoghi ove genitori potessero aiutare altre famiglie a partire dall’esperienza della propria vita e dal confronto con operatori esperti. Dai primi gruppi di mutuo aiuto aperti, spesso “misti” tra coppie che avevano già adottato e coppie che stavano per adottare, si è passati ad un sistema più complesso che va dai gruppi dedicati esclusivamente alle coppie agli inizi del percorso adottivo nello stile dell’auto mutuo aiuto (ossia in presenza solo di volontari) a veri e propri gruppi di mutuo aiuto dedicati all’attesa e al post adozione, gruppi non terapeutici ma facilitati da operatori affiancati da genitori volontari dell’associazione. Ogni gruppo si incontra in genere da un minimo di 7 ad un massimo di 10 volte l’anno a cadenza mensile e può incontrarsi anche per più anni. Gli operatori sono psicologi/psicoterapeuti con esperienza clinica con le famiglie adottive. L’operatore crea il clima in cui si può determinare l’apertura dei componenti e accompagna lo sviluppo del lavoro del gruppo: facilita l’esprimersi dei partecipanti, offre possibilità di lettura delle esperienze e promuove il riconoscimento reciproco. Può aiutare il gruppo a esplicitare i significati di quanto accade. I volontari rappresentano l’accoglienza associativa, si occupano degli aspetti organizzativi e di raccordo tra operatori e associazione, mettono a disposizione la propria esperienza e la propria storia. Nei gruppi dedicati all’attesa simbolizzano la realizzazione della genitorialità, nei gruppi dedicati al post adozione vivono spesso fasi successive a quelle dei componenti del gruppo. Il ruolo dei volontari è complesso, ha bisogno di essere protetto e monitorato affinché non diventi disfunzionale al bisogno dei partecipanti. Gli operatori stessi hanno bisogno di sentirsi a proprio agio con i paradigmi dell’associazione e tra volontari e operatori è necessaria una reciproca accoglienza. È la fiducia tra loro che determina il clima di apertura del gruppo stesso. Nel tempo l’associazione si è dotata di modelli scritti per permettere di attivare gruppi in vari territori con modalità rispettose delle diverse esigenze ed omogenee al tempo stesso, ossia all’interno di una cornice condivisa. Ha inoltre strutturato una metodologia di reporting (in carico ai volontari in confronto con gli operatori e condivisa, poi, con i partecipanti dei gruppi) in modo tale da offrire al gruppo una memoria del lavoro fatto oltre che possibilità all’associazione di monitorare i processi. I gruppi sono luoghi dove si mette a disposizione la propria esperienza, ricavando dal mutuo confronto e dall’apporto degli operatori un’esperienza condivisa di meta-riflessione; sono spazi dove si deve sentire la libertà di esporre situazioni personali senza sentirsi imposti modelli precostituiti di genitorialità. Nel solo 2018, in Genitori si diventa, sono stati formati 30 gruppi “post adozione” (spesso suddivisi a seconda della fascia di età dei figli e dei tempi di arrivo in famiglia) in 17 città Italiane ognuno dei quali costituito da 10-14 coppie. Contemporaneamente erano attivi 8 gruppi “attesa” in altrettante città Italiane e, per le coppie che si avvicinavano all’adozione ma non avevano finito il percorso coi servizi, 10 gruppi di auto mutuo aiuto (in presenza solo di volontari). Nel 2020, a fronte dell’emergenza causata dalla pandemia, i gruppi di mutuo-aiuto si sono spostati, dopo una breve stasi, in modalità online creando una differente esperienza per partecipanti, volontari e operatori. Un’analisi approfondita di questa fase sarà certamente utile in futuro. Nel gruppo di mutuo aiuto si sperimenta la possibilità di essere accolti, di riconoscersi dopo essersi appena conosciuti, di ascoltare e narrare.


“Non è il mero processo di espressione verbale dei conflitti mentali o emotivi che è importante, non è solo la scoperta che i problemi degli altri sono simili ai propri, e la conseguente smentita della propria misera unicità: ciò che ha suprema importanza è il condividere affettivamente il proprio mondo interiore con gli altri e dopo l’accettazione da parte degli altri… Il bisogno di appartenenza è innato in tutti noi”. (Yalom, 1974).


E tutto questo è esattamente ciò che l’adozione chiede. È sulla base dell’esperienza di questi interventi strutturati sulle necessità delle famiglie (attesa, post adozione, post adozione per genitori di adolescenti, scuola, origini, crisi, ecc.) che si enucleano nel seguito, in modo del tutto non esaustivo, alcuni contenuti essenziali al lavoro.



Il sostegno nel tempo dell’attesa


In questi ultimi anni l’adozione internazionale ha subito una serie di cambiamenti come documentato nel Report statistico Commissione Adozioni Internazionali 2019. Il tempo dell’attesa è aumentato, l’età media delle coppie è aumentata, la disponibilità numerica delle coppie è diminuita e l’età media (6,6 anni) dei minori adottati è aumentata così come sono aumentati i loro bisogni speciali. Il Report statistico 2019 della Commissione Adozioni Internazionali ci ricorda che:


“Gli steps intermedi dell’iter adottivo testimoniano di circa 11 mesi tra la domanda di adozione e il decreto di idoneità, 8 mesi tra l’ottenimento del decreto di idoneità e il conferimento dell’incarico all’ente e circa 27 mesi tra il conferimento dell’incarico e l’autorizzazione all’ingresso”.


L’adozione nazionale è rimasta nel tempo numericamente più stabile ma di fatto è meno monitorata nei suoi parametri rispetto all’adozione internazionale. I suoi tempi di realizzazione, ad esempio, sono incerti. L’incertezza è d’altra parte la parola che sempre di più caratterizza l’attesa adottiva. Si tratta di una dimensione in cui sembra di non saper come attivarsi dovendo “solo aspettare” di essere convocati da altri, in cui le complicazioni dell’iter burocratico spesso diventano protagoniste assolute mettendo in secondo piano gli affetti e le emozioni. Si tratta di un tempo che troppo di frequente sembra non aver a che fare realmente con le necessità dei bambini che attendono una famiglia. È in questo periodo confuso e sospeso che ci si trasforma, tuttavia, da coppia a genitori. Prepararsi ad incontrare un figlio implica aprire varchi nel proprio modo abituale di vivere per permettere la potenzialità di un’accoglienza che significherà trasformazione della propria storia famigliare. Nell’adozione la narrazione della storia di origine dei bambini e dei ragazzi subisce una interruzione, non viene sorretta, nella crescita, dai ricordi dei genitori di origine, ma si innesta nella storia della nuova famiglia dove assieme al nuovo cognome si crea un nuovo racconto famigliare che deve tenere conto del passato vissuto dal bambino ma non vissuto dai genitori adottivi. Mettersi in ascolto di una storia non propria, sostenerne i non detti, le intrusioni, lasciare che questa storia diventi la storia la propria famiglia, immaginare di poter essere parte pur essendo un passo indietro, fa parte delle complessità che un genitore adottivo dovrà affrontare. È difficile da immaginare prima di farlo concretamente. Sentire con autenticità i propri limiti, dubbi, timori fa parte di un percorso verso i figli, permette di pensare a loro che non si conoscono, di parlarne nella coppia e, forse, con parenti e amici. Avvicinarsi ad un figlio nel percorso adottivo significa sperimentarsi nell’attivare risorse interiori, acquisendo consapevolezza della propria tenuta psicologica, verificando la capacità di ascolto di sé stessi e dell’altro. Questa è la complessità del tempo dell’attesa, tempo in cui si costruisce la possibilità di un incontro.



Il sostegno post-adottivo


Le fasi iniziali della costruzione di una famiglia adottiva sono costellate di eventi improvvisi. Per quanto ci si prepari, poi, tutto accade inevitabilmente in fretta, sia che si tratti di adozione nazionale che di internazionale. Spesso l’ingresso in famiglia coincide fin troppo con il primo ingresso a scuola creando una sovrapposizione molto brusca tra la dimensione iniziale della costruzione dei primi legami di appartenenza e la dimensione sociale. È in questo tipo di momenti che si rischia di non riuscire a vedere in pieno i bisogni dei bambini propendendo in genere per una repentina normalizzazione, nonostante le Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati prevedano flessibilità per il primo ingresso a scuola. I bambini, infatti, non debbono necessariamente entrare nella classe di loro competenza anagrafica, possono, se necessario, permanere un anno in più alla scuola dell’infanzia, hanno diritto a tempo a casa prima dell’effettivo ingresso in classe quando sono arrivati in famiglia sia per adozione internazionale che nazionale. Le prime difficoltà di interazione con la scuola possono nascere proprio in questa fase in cui genitori che non conoscono ancora bene i propri figli si trovano immersi in dinamiche scolastiche in cui sono coinvolti insegnanti non abbastanza consapevoli di cosa significhi una storia di adozione (Ferritti et al., 2020). La “differenza” espressa dall’estraneità del figlio e “l’urgenza di normalità” possono cozzare violentemente tra loro. In classe, bambini e bambine, appena entrati in famiglia a diverse età, portano la propria storia, i propri ricordi, ma anche i segnali del loro bisogno di accoglienza, del bisogno di adulti capaci di contenere e dare un significato alle loro storie frammentate e interrotte. Nel progetto dedicato al post adozione avviato, dal 2018, nella Regione Lazio, sono stati molteplici i casi portati in supervisione da Servizi ed Enti Autorizzati in cui i bambini agivano in classe situazioni di difficile decrittazione e che spesso riconducevano al bisogno di dare un significato alla discontinuità percepita tra la vita passata e quella presente. La possibilità di un dialogo e di una condivisione tra insegnanti, genitori e operatori si è rivelato, in questi casi, essenziale. Un’altra fase critica, per la famiglia adottiva è quella del passaggio nella pre-adolescenza e nell’adolescenza. Si tratta di una terra di transito in cui il bambino e la bambina si trasformano e rinascono ad un nuovo corpo, una nuova dimensione emozionale, affettiva e sociale. Nel contesto adottivo, il corpo dei figli e delle figlie che crescono rappresenta anche il corpo dei genitori di origine e il pensiero sulle origini assume caratteristiche differenti. I genitori di origine entrano a pieno titolo nella casa e così vi entrano i pensieri, le idee, le fantasie che su di essi fanno sia i genitori adottivi che i figli adottati. Talvolta, poi, i contatti con parti delle famiglie di origine sono reali e non fantasie. È questo il momento in cui una storia percepita come imbarazzante, spaventosa, intoccabile può lasciare i figli in una dimensione di altrettanto imbarazzante, spaventosa, intoccabile solitudine. Questa fase coincide peraltro con il passaggio dei ragazzi e delle ragazze alle scuole superiori, scuole dove gli insegnanti attuano in gran parte una didattica centrata sulle discipline, spesso non usufruendo di bastevoli spazi e tempi di confronto e dove, sovente, le scuole sono meno informate e formate rispetto a temi quali l’adozione. L’adolescenza è crescita ed è anche viaggio verso la nascita dell’età adulta, è grazie ad essa che si inizia a definire la propria identità sessuale, culturale, relazionale e sociale. In adolescenza ci si confronta con i propri genitori nel tentativo di non ripeterli, di essere differenti. Per farlo, in realtà, li si guarda più costantemente di quanto si immagini e al tempo stesso si cerca di comprendere chi si è in prima persona, chi si può diventare. Si va a caccia di contesti che definiscano e che facciano sentire appartenenti. L’adolescenza costringe a fare i conti con la propria storia sempre, anche quando non si è adottati, e a rinegoziare tutte le relazioni del presente. Avere accanto adulti, genitori e insegnanti, che sappiano stare senza invadere, che siano in grado di essere “limite” e “porta aperta” al tempo stesso è importante sempre, a maggior ragione per chi sta facendo i conti con una storia di vita complessa.



Conclusioni


L’adozione con la sua straordinarietà, con la sua irriducibilità a farsi includere in sceneggiature troppo semplicistiche, costringe a ripensare interamente il concetto di legame e di appartenenza. È possibile creare legami potenti e intimi come quelli genitori-figli per mandato giudiziario? E la società che accoglie le famiglie adottive crede in questi legami? Ci credono gli insegnanti e gli operatori cui le famiglie si rivolgono nei momenti di crisi? E i genitori adottivi stessi, ci credono?

“Stare in contatto con il mondo dei figli significa comprendere cosa dicono riuscendo ad essere disponibili ad aprirsi a zone della loro vita che non appartengono al presente, parti che riguardano loro, il loro passato e i loro genitori di origine dove le parole non abitano perché i genitori non possono narrarla, non erano presenti, protagonisti, e non possono farsi aiutare da ricordi”. (Guerrieri e Marchianò, 2018).


I figli portano in famiglia la vita “prima della famiglia” che si è appena formata, una parte di storia “altra” che è solo e vividamente loro. Ma questo “altro”, questo “prima” entra e non lascia nulla come era prima della sua comparsa. Le metafore sulle “origini” spesso parlano di un vuoto dove lo sguardo si smarrisce inesorabilmente attratto. È una presenza, è una realtà ed è un ricordo, è percezione ed è anche sogno. Racconta una madre in un gruppo di mutuo aiuto:


“Questa notte ho sognato una donna con un sari verde. Eravamo collegate via Skype ed io le parlavo di Swati e dei problemi che aveva avuto. Non vedevo il suo volto ma vedevo le sue mani, in grembo. Lei mi ascoltava e la traduttrice le parlava. So che mi ascoltava. Per Swati”.


Forse è proprio in questo muoversi in terre sconosciute, che davvero ci si tocca e si diventa parte di una stessa storia. Costruire spazi di sostegno per le famiglie adottive significa avere in mente quanto siano fondamentali i legami di reciproca appartenenza, quanto vadano protetti e nutriti. Le coppie che si avvicinano all’adozione sono genericamente coppie medio-borghesi, con un livello socio-culturale sopra la media. Rendendosi disponibili ad adottare si allenano a presentarsi presentabili, in grado di gestire il dolore, l’assenza, le relazioni famigliari prima ancora di avere dei figli. Sono chiamate a costruire famiglie capaci di affrontare qualsiasi imprevisto, forti e pressoché infrangibili perché così sono volute. Così sono volute sino alle crisi; la presenza di un pubblico giudicante è una costante allora. Spesso si investono molte energie nella ricerca del colpevole. E c’è sempre un colpevole, perché la crisi ha il sapore del fallimento e il fallimento non piace a nessuno. A seconda dei paradigmi scelti i colpevoli sono i bambini troppo danneggiati, le coppie troppo incapaci, i servizi e gli enti incompetenti, gli operatori impreparati, le istituzioni assenti. Questo è il leitmotiv delle crisi. Lavorare oltre una cultura di fallimento è uno sforzo cruciale perché significa, evitando la caccia al colpevole, lavorare sulle risorse delle persone (genitori, figli, insegnanti, operatori, ecc.). Se è vero che il passato influenza il presente (ed è ben chiaro che un passato doloroso porta con sé conseguenze), è anche vero che come si percepisce l’effetto del passato dipende da come si vive il presente e in compagnia di chi. È nel presente che si vive e si sente il riverbero di quanto è accaduto. Ed è grazie a ciò che accade ora che si ha modo di rielaborare e riposizionare quanto avvenuto anche grazie a come le persone che sono accanto lo percepiscono. Si è vittime o protagonisti nel loro ascolto? Si è, per loro, irrimediabilmente frantumati a causa di ciò che si è vissuto? L’inciampo e la caduta permettono, a volte, l’emergere dell’umanità delle relazioni, permettono di scoprire risorse nuove e importanti ma difficilmente lo si può fare in solitudine; impossibile prescindere dallo sguardo altrui. Questa è la responsabilità del contesto, della famiglia stessa e della società che la circonda. D’altra parte, se non si crede che diventare genitori e figli possa essere frutto di un incontro tra “corpi autenticamente estranei” allora si può anche smettere di credere nella vita stessa e diventa inevitabile rinunciare all’adozione come strumento di tutela dell’infanzia. La scommessa non può che essere quella di realizzare reti di aiuto efficaci e stabili, che si diano l’obiettivo di promuovere l’attivazione delle risorse dei singoli e delle famiglie. Reti che puntino a rendere le famiglie autonome dal bisogno troppo costante di un aiuto esterno. I gruppi di mutuo aiuto sembrano essere spazi importanti a questo fine ed è auspicabile che sempre più ricerca venga portata avanti sulla loro attuazione da parte delle associazioni familiari con metodologie per valutarne l’impatto e soprattutto per determinare cosa si intenda per loro efficacia. Uno degli aspetti più rilevanti e protettivi di un gruppo è forse il più semplice: mette le persone in relazione tra loro. Ritrovarsi nelle parole degli altri, riconoscersi nelle loro reazioni ha a che fare anche con questo. Permette di sentirsi avvalorati e fa crescere una sensazione di sicurezza e autostima, fondamentale alla fiducia in sé stessi come genitori possibili. Stando insieme si accresce la titolarità.1 Tuttavia c’è da chiedersi fin quando il gruppo sia funzionale al processo o se non possa talvolta rivelarsi disfunzionale. Per esempio è necessaria una riflessione sulla permanenza dei partecipanti nei gruppi stessi (quanto a lungo) e sulle finalità di partecipazione (perché e con che aspettative).


Infatti, “la finalità del gruppo dovrebbe rispondere a necessità concrete quali il permettere a chi partecipa una visione più lucida di quel che succede nelle relazioni con i figli e quindi la possibilità di spendere la propria adottività socialmente perché l’adozione non sia fattore di isolamento ma di arricchimento; quando in alcuni gruppi succede che vi siano dinamiche troppo centrate sull’appartenenza al gruppo stesso la discussione può divenire poco funzionale all’integrazione di cui i figli hanno bisogno nel dialogo coi propri genitori e con la società. In pratica, se protratto nel tempo e senza un obiettivo chiaro, il bisogno di accoglienza che il gruppo offre può diventare dominante rischiando che il contenitore-gruppo sancisca il problematizzarsi dei rapporti familiari non agevolando più il passaggio delle competenze acquisite nel gruppo alla famiglia ma diventando posto in cui sottrarre ai componenti della famiglia che non partecipano (i figli) elementi importanti di dialogo intra-famigliare. Tali dinamiche possono diventare particolarmente critiche quando si ha a che fare con genitori di figli adolescenti. È proprio allora che il gruppo deve essere permeabile al pensiero dei figli per evitare che quanto emerge nel racconto dei genitori resti rinchiuso nel gruppo (ormai rifugio), precluso al confronto con loro” (Guerrieri e Marchianò, 2018).


Riassunto

In Italia, il sostegno a chi intende adottare o ha già adottato, vede sempre di più protagonista il volontariato familiare che, attivo da lungo tempo, struttura azioni sempre più complesse quali: gruppi mutuo aiuto, interventi culturali ed editoriali, processi di rete. Si tratta di azioni che interessano particolarmente chi lavora con le famiglie e vuole sviluppare una riflessione sulle prassi utili a prevenire le fasi critiche delle famiglie adottive stesse. Questa presentazione esplora l’apporto dei gruppi di mutuo aiuto e, grazie all’analisi di specifiche metodologie di lavoro, approfondisce alcuni punti di vista sull’identità della famiglia adottiva e sulle sue fasi critiche di sviluppo.


Parole chiave

Famiglia adottiva, gruppo di mutuo aiuto, associazionismo.

Bibliografia

Brodzinsky D M (2013). A need to know: Enhancing adoption competence among mental health professionals. New York: Donaldson Adoption Institute.

Ferritti M (2019). Il corpo estraneo. Pisa: Edizioni ETS.

Ferritti M, Guerrieri A, Mattei L (2020). Adozione e scuola: la necessità di individuare i punti critici e accrescere la consapevolezza di genitori e insegnanti. MinoriGiustizia, 2.

Guerrieri A, Marchianò F (2018). L’adozione una risorsa inaspettata. Pisa: Edizioni ETS.

Guerrieri A, Marchianò F (2018). Il sostegno alle famiglie adottive nell’associazionismo familiare: esempi di pratiche. MinoriGiustizia, 4: 38-45.

Yalom I, Leszcz M (1974). Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo. Torino: Bollati Boringhieri, 2008.




Anna Guerrieri

Docente presso l’Università dell’Aquila

Referente scuola Coordinamento CARE


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