Recensioni


Klein M. Lezioni sulla tecnica. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2020. Pagine 210. Euro 24,00.


La pubblicazione, nel 2017, delle Lectures on Technique by Melanie Klein – Edited with Critical Review by John Steiner per i tipi di Routledge fu, a mio avviso, un evento storico. Oggi teniamo in mano un volume agile, essenziale nella presentazione grafica. In quarta di copertina una sola frase: Un contributo inedito alla comprensione del metodo kleiniano. Dobbiamo all’iniziativa di Silvia Andreassi e Paolo Fabozzi, curatori dell’edizione italiana, il progetto della pubblicazione dell’opera. La traduzione è di Sara Boffito. Il volume contiene i testi integrali, mai pubblicati in precedenza, delle sei Lezioni sulla tecnica tenute da Melanie Klein nel 1936 per i candidati della British Psychoanalytical Society, insieme ai Seminari sulla tecnica che tenne nel 1958, due anni prima della morte, per un piccolo gruppo di giovani psicoanalisti della Società britannica.

I manoscritti furono scoperti nel Melanie Klein Archive negli anni ‘90. Nel 2004, Elizabeth Spillius consegnò una copia delle Lezioni, e successivamente la trascrizione dei Seminari, a John Steiner, curatore dell’edizione inglese. Con la sua ampia Introduzione – Descrizione e lettura critica delle lezioni e dei seminari sulla tecnica di Melanie Klein, Steiner accompagna il lettore verso l’incontro con i due gruppi di testi originali. Una breve Appendice contiene l’elenco dei pazienti che la Klein cita nel corso delle lezioni, il cui materiale clinico dà vita e concretezza ai concetti trattati. Una seconda Appendice, di grandissimo interesse, offre al lettore, oltre alla riproduzione verbatim della prima versione di una parte della lezione 5, alcune pagine preziose di appunti manoscritti della Klein, buttati giù all’impronta in attesa di una successiva elaborazione e sistematizzazione. Il lettore viene ammesso nel “laboratorio” dell’autrice e reso partecipe dei suoi pensieri in statu nascendi che rivelano il costante lavoro di connessione tra osservazione clinica, formulazioni teoriche e riflessioni tecniche. Il volume si conclude con due saggi di approfondimento a firma di Silvia Andreassi (Melanie Klein era veramente kleiniana?) e di Paolo Fabozzi (Melanie Klein e Donald W. Winnicott).

Nella sua Introduzione John Steiner ripercorre le prime esperienze della giovane analista che, lavorando con bambini anche giovanissimi negli anni ‘20, scoprì non soltanto la precocità delle fantasie edipiche e non soltanto accolse e interpretò il transfert negativo dei suoi piccoli pazienti, ma “si rese conto che se interpretava le paure dei pazienti collegandole con i loro impulsi aggressivi, l’angoscia si attenuava” (p. 5). Lezione per lezione, Steiner commenta le principali aree della tecnica affrontate e le contestualizza, non senza sottolineare incertezze e affermazioni contraddittorie dell’autrice.

Sono essenzialmente due i temi delle lezioni evidenziati da Steiner. Il primo riguarda le modalità dell’interpretazione, i suoi contenuti, il suo timing, la sua profondità. La relazione di transfert è in primo piano, senza tuttavia che la Klein perda mai di vista né le esperienze precoci del paziente né il qui ed ora della sua vita quotidiana. Una tessitura costante collega i tre poli. “Melanie Klein…descrive la propria visione delle interpretazioni di transfert come antenne per le situazioni precoci”, scrive Steiner, e aggiunge che “l’obiettivo dell’interpretazione è di aprire nuovi orizzonti” (p. 16). Con questa visione l’interpretazione diventa il punto focale tra passato e futuro, il crocevia che si coagula nella relazione analitica. Il secondo tema al quale Steiner dedica un commento approfondito è il rapporto conflittuale che la Klein ebbe, almeno sul piano teorico e tecnico, con il concetto e l’uso del controtransfert. La sua profonda ambivalenza in merito attraversa come un filo rosso non solo le sei lezioni del 1936, ma riappare, a distanza di più di vent’anni, durante i seminari sulla tecnica del 1958. 

Il tema centrale che Melanie Klein affronta fin dalla prima lezione e da angolazioni diverse, riguarda l’atteggiamento psicoanalitico: “Una questione fondamentale, al riguardo, è che tutto il nostro interesse si concentra su un unico obiettivo, cioè l’esplorazione della mente di quella singola persona che in quel momento si colloca al centro della nostra attenzione. […] In caso vi avessi dato l’impressione che l’atteggiamento analitico sia privo di sentimenti e in qualche modo meccanico, mi devo affrettare a correggere questa impressione. L’analista è in grado di avvicinare e comprendere il paziente come essere umano soltanto se sono pienamente attivi in lui emozioni e sentimenti umani, sebbene tenuti sotto controllo” (p. 34). Le lezioni ci fanno toccare con mano le due anime della Klein: la coesistenza non facile tra la passione scientifica della studiosa che sfida paradigmi teorici e tecnici che ritiene superati, e la sensibilità e dedizione della psicoterapeuta. La scienziata ha un obiettivo, è spinta dalla curiosità, dal bisogno di esplorare il funzionamento mentale del paziente, mentre l’analista in seduta accoglie, comprende e apprende. Michael Feldman, Presidente del Melanie Klein Trust, riassume nella sua breve Prefazione al libro la personalità della Klein: “Melanie Klein appare flessibile e gentile, ma allo stesso tempo dura e intransigente nella sua dedizione alla ricerca psicoanalitica” (p. IX)*. Una dicotomia interna mai del tutto risolta. Tuttavia, forse è proprio grazie a quella difficile coabitazione delle sue due anime che la Klein non offre ricette univoche, ma rimanda agli allievi la responsabilità della propria ricerca interna che non si conclude mai.

Nell’evoluzione del pensiero teorico di Melanie Klein, l’anno che precede le Lezioni, il 1935, rappresenta una sorta di spartiacque. Durante i quindici anni precedenti, tra Berlino e Londra, la Klein ha accumulato una vasta esperienza clinica di psicoanalisi dei bambini pubblicando numerosi lavori a carattere teorico e tecnico intorno alla precocità dello sviluppo della mente e l’onnipresenza delle fantasie inconsce. Nel 1930 esce L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io. Nelle pubblicazioni che seguono, l’attenzione della Klein, forte delle scoperte sul funzionamento della mente infantile, si addentra nelle fantasie e nelle angosce primitive di pazienti adulti psicotici e pubblica, nel 1935, il Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi. Fanno ormai parte del suo bagaglio teorico i concetti di fantasia inconscia, di angosce persecutorie, di superio primitivo, di introiezione e identificazione, di oggetto parziale e oggetto totale. E in quello scritto troviamo già un primo accenno al concetto di posizione, con che, afferma la Klein, descrive meglio delle nozioni di fase o di meccanismo, “il rapido passaggio da una situazione di angoscia di persecuzione o da uno stato d’animo depresso a un atteggiamento normale” (1935, p. 311 ediz. it.).

Ancora non sono stati pubblicati né Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi (1940) né le Note su alcuni meccanismi schizoidi (1946), eppure l’edificio teorico, seppure formulato in extenso solo successivamente, è già presente sotto traccia nelle Lezioni sulla tecnica del 1936. È questo uno degli aspetti affascinanti del libro: poggiati sulle fondamenta dei suoi scritti precedenti, sono impliciti gli sviluppi successivi del suo pensiero che porteranno alla formulazione della posizione depressiva, della posizione schizoparanoide e dell’identificazione proiettiva, innovazioni teoriche e tecniche sostanziali che metteranno l’autrice in una posizione non sempre condivisa nel mondo psicoanalitico di quegli anni. Ricordiamo l’escalation del conflitto tra Melanie Klein e Anna Freud che sfocia nelle Discussioni Controverse degli anni ‘40 e porterà la Società britannica sull’orlo della scissione.

Riprendendo il filone del tema del controtransfert, Melanie Klein scrive nella terza lezione: “Transfert e controtransfert: […] l’inconscio dell’analista segue da vicino l’inconscio del paziente fino a un certo punto. Ma a quel punto, indicato dalle facoltà critiche dell’analista, la sua mente conscia prende il comando ed evita che tali interferenze alterino la direzione e il procedere del lavoro” (p. 63). Altri passi nel testo mostrano una Klein più possibilista verso il potenziale di un ascolto emotivamente più libero, ma si riaffaccia sempre il timore di un controtransfert che rischia di coincidere con un transfert alla rovescia offuscando la lucidità dell’analista nell’esplorazione dell’inconscio del paziente.

Fin dall’inizio degli anni ‘50, tuttavia, la rivisitazione dei postulati di oggettività e di neutralità, pone al centro dell’attenzione del mondo analitico il significato e l’uso del controtransfert nel processo psicoanalitico. ll dibattito è vivace. Vi contribuiscono colleghi della Klein, tra i quali anche suoi ex-pazienti ed ex-allievi. Autori come Heimann, Money-Kyrle, Racker, Rosenfeld e Winnicott esplorano il potenziale del controtransfert nella sua funzione di antenna emotiva in grado di recepire contenuti mentali non pensabili e tanto meno verbalizzabili dal paziente. Bion approfondirà il significato e la funzione comunicativa dell’identificazione proiettiva e introdurrà i concetti di funzione-alfa e di rêverie, antenne sensibili in grado di ricevere, contenere e trasformare comunicazioni inconsce del paziente. 

Nei Seminari sulla tecnica del 1958, invece, ritroviamo Melanie Klein rimasta restia a trattare l’argomento quando afferma che “dal 1926 in avanti, non sono avvenuti cambiamenti fondamentali nella mia tecnica” (p. 116). A una domanda più esplicita sul controtransfert, aggiunge: “Non ho mai trovato che il controtransfert mi aiutasse a comprendere meglio il paziente” (p. 123). Eppure, tra le righe, intravediamo la grande maestra in ascolto profondo dei suoi pazienti quando dice: “…non credo che un analista possa essere molto efficace se vuole soltanto studiare, o se vuole soltanto esplorare la mente. Qui entra in gioco la questione dell’empatia” (p. 127).

Nell’archivio sono state ritrovate, oltre al manoscritto, anche le registrazioni audio dei Seminari sulla tecnica. Una parte di esse è stata recuperata e può essere ascoltata su: https:// www.youtube.com/watch?v=5D_CrMGxYZI. 

Sentire dal vivo la voce di Melanie Klein è stata per me un’esperienza emozionante. A differenza della parola scritta, immobilizzata e definitiva, la parola parlata è dinamica, modulata, meno assoluta. Chi parla si rivolge nel qui ed ora a degli interlocutori. La registrazione ci fa incontrare una Melanie Klein diversa. E poi c’è un’altra sorpresa: non mi aspettavo di scoprire che, malgrado vivesse a Londra da più di trent’anni, Melanie Klein avesse ancora un così forte accento tedesco. La sua voce trasmette non soltanto il suo pensiero, ma ci ricorda anche la sua storia. Ad un certo punto del discorso, non trovando la parola inglese per esprimere un pensiero, inserisce un aggettivo in tedesco, con una pronuncia che inequivocabilmente rivela le sue lontane radici viennesi.

Suzanne Maiello


Ginzburg A. La stoffa di cui sono fatti i sogni e le emozioni. Per un’applicazione clinica del pensiero di Matte Blanco. Roma: Alpes, 2020. Pagine 252. Euro 24,00.


Ignacio Matte Blanco (Santiago del Cile, 1908 – Roma, 1995) ebbe a dichiarare: “Personalmente posso dire che la mia efficacia terapeutica è aumentata in conseguenza delle nuove intuizioni raggiunte” (1975, pag. 428).

Medico cileno, dal 1938 membro della Società Psicoanalitica Britannica, dopo essere stato negli Stati Uniti ed essere rientrato in Cile, si trasferisce a Roma nel 1966, diventando analista con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana. Evidentemente impegnato nella clinica, come testimonia, nella citazione, la tensione verso una maggiore efficacia terapeutica, nel suo libro più conosciuto L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica espone e argomenta le sue idee che, pur rimanendo nel solco freudiano, risultano del tutto nuove per la psicoanalisi. Lo spessore clinico si ritrova in Pensare, sentire ed essere (1988), anche questo pubblicato prima in inglese e poi, postumo, in Italia e purtroppo ad oggi non più ristampato. Matte Blanco è convinto che se si familiarizza con le idee che lui propone “si arriverà a capire che esse hanno considerevolmente accresciuto la nostra comprensione dei pazienti. Saremo, in questo modo, molto più vicini all’intimità del sé di quelli che stiamo cercando di aiutare” (1975, pag. 427). 

È quanto Alessandra Ginzburg ha voluto dimostrare con questo volume dedicato esplicitamente, come recita il sottotitolo, all’applicazione clinica del pensiero di Matte Blanco. Rielaborando ampiamente alcuni suoi contributi precedenti, Ginzburg tesse la stoffa di cui sono fatti i sogni e le emozioni, permettendoci di vedere e toccare la teoria dell’infinito nella stanza d’analisi.

Si avverte subito che il bisogno di superare la vulgata che vuole Matte Blanco, riconosciuto maestro della psicoanalisi, “difficile ed astratto” ha indotto l’Autrice a evitare costantemente di “menar il can per l’aia”, rintracciando continuamente in cosa e come questo specifico apporto ha la sua utilità clinica.

Ricordiamo che Ginzburg è stata anche curatrice, insieme a R. Lombardi, del volume L’emozione come esperienza infinita, che raccoglie contributi che esplorano le diverse implicazioni dell’infinito di Matte Blanco nella clinica psicoanalitica, oltre che nella letteratura e nell’arte.

Tornando invece a quest’ultimo libro dell’Autrice, vediamo che la sua struttura appare molto chiara e ben articolata: 4 capitoli e l’utile Glossario finale, che permette di avere disponibile, in sintesi, il senso dei termini e dei concetti utilizzati nel testo.

Nel primo capitolo viene proposta una visione complessiva delle formulazioni teorico-cliniche di Matte Blanco in cui, senza cercare di riassumere e semplificare, Ginzburg offre al lettore la propria comprensione delle tesi che hanno portato lo psicoanalista cileno a definire l’inconscio come un modo di essere. Si può così percorrere l’evoluzione che conduce in psicoanalisi da una visione dell’inconscio come “calderone bollente” ad un sistema logico coerente, in cui trovano una sistemazione puntuale le cinque caratteristiche evidenziate genialmente da Freud: assenza di contraddizione mutua, condensazione, spostamento, assenza di coordinate spazio-temporali, sostituzione della realtà esterna con quella psichica. Ginzburg, consapevole di quanto finora sia stata poco utilizzata tutta la teorizzazione sull’inconscio non rimosso, multidimensionale, che è stata una grande innovazione portata da Matte Blanco, propone una lettura sistematica di questa teoria per mostrare agli analisti che hanno uno strumento in più per lavorare con l’analizzando: uno strumento che permette di riuscire a dispiegare una realtà altrimenti impensabile.

Di quale realtà si parla? Della realtà stratificata della mente, la cui conoscenza apre all’analista la possibilità, momento per momento, di tener conto dei livelli di profondità e degli strati della mente attivi in un dato momento. È così che l’analista può individuare e bloccare l’invasione e l’influenza della logica simmetrica nel modo preconscio e conscio. Sì, perché il presupposto è che “la nostra visione del mondo sia intrinsecamente duplice perché determinata dalla compresenza di due modi di essere incompatibili: l’uno asimmetrico, che tratta la realtà come se fosse divisibile ed eterogenea, formata da parti, l’altro simmetrico che la considera una e indivisibile” (pag. 37).

Anche chi non ha familiarità con la terminologia matteblanchiana, attraverso la prosa piana e sempre tesa a sciogliere i nodi di Ginzburg, può cogliere tutta la fecondità delle intuizioni che portano, nei due capitoli successivi, ad avvicinarsi e a dipanare il linguaggio dei sogni e il linguaggio delle emozioni. A questo punto del libro si è già avuto modo di familiarizzare con il “principio di simmetria”, che scalza la logica aristotelica, e che appare come la condizione di base del funzionamento psichico, tanto che si comprende appieno il senso del titolo del libro per cui siamo letteralmente fatti della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni. Ginzburg, in 80 pagine, accompagna il lettore nelle diverse declinazioni del ‘principio di simmetria’ e del ‘principio di generalizzazione’ che dominano il sogno e con i loro corollari sovvertono completamente le regole della logica classica, imperniata sul principio di non contraddizione.

Del resto non è soltanto nelle vicissitudini del sogno che è possibile imbattersi nelle singolarità dell’universo simmetrico: nella misura in cui la mente può essere vista funzionare, scendendo in profondità, attraverso livelli crescenti di generalizzazione e simmetria, sono i prodotti di pensiero ad essere continuamente investiti e modificati, in ragione dell’intensità delle emozioni che entrano di volta in volta in volta in gioco. “Matte Blanco distingue all’interno dell’emozione sia la captazione degli stati corporei che definisce sensazione-sentimento, sia una seconda componente, unicamente psicologica, che riguarda i pensieri di rabbia, di amore, di paura” (pag. 118). E Ginzburg prosegue specificando: “L’innovazione davvero significativa da lui introdotta nella comprensione degli stati emotivi riguarda il funzionamento di queste particolari modalità di pensiero in cui avremo modo di osservare le medesime violazioni della logica classica individuate a suo tempo nel funzionamento dell’inconscio” (ibidem). Il capitolo culmina nel paragrafo dedicato alla funzione de-simmetrizzante della terapia psicoanalitica in cui si offre all’analista una efficace sintesi di quanto l’adozione della proposta di Matte Blanco può portare a vedere e a trattare con il paziente.

Il quarto capitolo è dedicato all’attualità del pensiero di Matte Blanco. Sempre tenendo in filigrana il riferimento a Freud, toccando diverse tematiche – sogno ed emozioni, ma anche corpo-mente, trauma, dissociazione, dissociazione psicosomatica – che attraversano l’opera di Matte Blanco se ne evidenziano convergenze e complementarietà con le teorizzazioni psicoanalitiche di Wilfred R. Bion e Armando Ferrari, in particolare, ma anche di Philip Bromberg e Antonio Ciocca. Ginzburg dichiara esplicitamente che “il pensiero di Matte Blanco non può essere utilizzato da solo e al di fuori di ogni altro contesto” (pag. 216) e perciò tiene fede in tutto il volume alla sua premessa per cui questa proposta di esemplificazione clinica di uno specifico paradigma di riferimento, quello di Matte Blanco, non implica “alcuna rinuncia ad altri paradigmi di riferimento, piuttosto invita all’integrazione nella teoria psicoanalitica di alcune ipotesi significative sul funzionamento dell’inconscio di cui sogno ed emozioni costituiscono le espressioni basilari” (pag. XIII).

Lorenzo Iannotta

Bibliografia

Ginzburg A, Lombardi R (a cura di) (2007). L’emozione come esperienza infinita. Matte Blanco e la psicoanalisi contemporanea. Milano: Franco Angeli.

Matte Blanco I (1975). L’inconscio come insiemi infiniti. Trad. it., Torino: Einaudi, 1981.

Matte Blanco I (1988). Pensare, sentire, essere. Trad. it., Torino: Einaudi, 1995.