Recensioni*


*Rubrica coordinata da C. Candelori.


Nicolò A.M. Rotture evolutive. Psicoanalisi dei breakdown e delle soluzioni difensive. Milano: Raffaello Cortina ed., 2021. Pagine 276. Euro 24,00.


Dalla quarantennale esperienza dell’autrice nel lavoro con gli adolescenti e in particolare con quelli che presentano breakdown evolutivo, nasce questo interessante volume che raccoglie il frutto delle riflessioni fatte nel corso degli anni e rielaborate alla luce delle attuali nuove considerazioni ed esperienze tratte da una clinica che si è misurata con le nuove forme e manifestazioni con le quali gli adolescenti ci fanno oggi confrontare.

Anna Nicolò è già stata autrice di molte pubblicazioni che riguardano l’adolescenza e in questo nuovo volume focalizza la sua attenzione sul breakdown evolutivo. Ella utilizza il termine “Rotture evolutive”, che dà il titolo al libro, preferendolo al più classico “breakdown”, come lei stessa scrive: “per indicare le crisi di sviluppo che appaiono gravi al clinico, ma possono evolvere anche felicemente” (pag. 54). Rotture che, “se non opportunamente curate, progrediscono pericolosamente perché il funzionamento mentale dell’adolescente è mobile e si può ristrutturare a condizione che si verifichino situazioni favorevoli” (ibidem). L’attenzione, quindi, è, fin dall’inizio, posta verso le possibilità di ripresa del processo evolutivo e in quest’ottica viene data grande importanza alla valutazione e alle trasformazioni che si possono presentare nel corso del tempo. L’autrice si dichiara fautrice di una psicoanalisi che sappia adattarsi al paziente e che osservi continuamente le trasformazioni della coppia paziente-analista.

Si tratta di un volume nel quale Anna Nicolò ci comunica con grande schiettezza e genuinità le sue concezioni teorico-cliniche riguardanti la cura dell’adolescenza e i vari aspetti della clinica, dalla centralità della valutazione al funzionamento dell’adolescente nel qui e ora, all’importanza dell’incontro con l’altro/analista, alla messa in questione del concetto di guarigione. Concezioni derivate dalla sua vasta esperienza che l’ha portata a pensare che gli adolescenti che presentano rotture evolutive necessitino di una tecnica psicoanalitica modificata.

Il volume è strutturato in due parti, una prima riguardante l’adolescente, l’importanza della qualità valutativa e il breakdown evolutivo e una seconda dedicata alle soluzioni difensive organizzate, o a volte sintomatiche, messe in atto contro il rischio di uno scompenso o di un crollo evolutivo.

Nel corso del volume i modelli psicoanalitici a cui Nicolò fa riferimento sono moltissimi, vanno da Novelletto, suo primo supervisore, a Winnicott, Bion, i Laufer, Meltzer, Cahn, Jeammet, Gutton, Ladame, Kaës, per nominare solo alcuni dei più frequentemente citati, ma la capacità dell’autrice è quella di saper utilizzare e integrare i vari apporti, riconoscendone il valore e la ricchezza e portando avanti i concetti, mettendoli alla prova della clinica.

Nella prima parte Anna Nicolò dà grande spazio alla fase di valutazione. Vi è una rimessa in discussione del concetto di diagnosi in adolescenza. Per lei la valutazione deve implicare non solo la considerazione del trauma, ma soprattutto le risorse del paziente e la capacità dell’analista, il lavoro nella coppia analitica e il mondo relazionale che circonda l’adolescente. Uno degli elementi per valutare è allora la capacità dell’adolescente di usare l’incontro con l’Altro. La partecipazione emotiva dell’analista, la sua capacità di condivisione dei vissuti angosciosi, modulata da una capacità di holding, sono da ritenersi gli aspetti più importanti.

Il setting non può essere considerato – secondo questo approccio – come fisso e precostituito: solo da una diagnosi accurata possono emergere indicazioni utili da adottare per il setting: individuale, della coppia genitoriale, familiare, di gruppo, lo psicodramma, frequentemente anche una psicoterapia integrata. Di volta in volta sarà la valutazione attenta delle forze in campo ad aiutare nella scelta e la costruzione del setting diventerà un punto di arrivo e non di partenza.

Per Nicolò il focus del suo lavoro è “lo studio del rapporto tra l’intrapsichico e l’interpersonale e l’analisi delle convergenze, le divergenze e l’intreccio tra questi due livelli” (pag. 143). Abbracciando un’ottica che mette al bando il mito della neutralità, l’autrice considera l’importanza di studiare i vissuti del paziente e dell’analista come co-creati nella relazione.

Grande attenzione è data anche alla valutazione del funzionamento della famiglia come insieme fantasmatico e come organizzazione educativa. Poiché il funzionamento traumatico dei legami familiari nei quali gli adolescenti sono immersi può continuare in modo pressoché immutato, a meno che non si faccia qualcosa per cambiarlo, è quindi necessario considerare il mondo che circonda il paziente. Se l’adolescenza, infatti, viene considerata non tanto uno stato ma un agente organizzatore, un enzima – ci dice Nicolò (pag. 21) – che attiene all’individuazione-separazione e al rimodellamento dell’identità, essa funziona anche come una sorta di catalizzatore che attiva un processo analogo nella coppia genitoriale e in tutta la famiglia. È quindi importante, per Nicolò, considerare la famiglia, non trascurarne le risorse, dal suo funzionamento fantasmatico alla capacità dei suoi membri di sviluppare una capacità elaborativa.

A fronte di questa grande attenzione all’ambiente non viene certo trascurata, nella trattazione, una altrettanto grande attenzione al livello intrapsichico e, sul piano diagnostico, l’esplosione del breakdown è considerata in relazione all’incapacità dell’adolescente di accettare il lutto del passato infantile, di integrare l’aggressività e la tempesta di nuove sensazioni generate dal corpo, soggetto e oggetto di nuove spinte sessuali e sensoriali.

Insieme alla difficoltà ad integrare il corpo sessuato viene considerata anche quella di “stabilire flessibili frontiere del sé, costruire la propria individuazione, le dinamiche transgenerazionali, il fallimento dello schermo protettivo, effettuare il lutto degli oggetti parentali…insomma tutti gli ostacoli alla soggettivazione e l’elaborazione del rinnovato complesso di Edipo” (pag. 37).

Un’attenzione specifica viene data a come in adolescenza “il corpo si impone all’attenzione della mente” (Ferrari, 1992, pag. 79), dal momento che, in questa fase della vita, il corpo e le sue vicissitudini assumono un’importanza strutturante. Un elemento di possibile integrazione ed evoluzione sarà determinato dalla possibilità della mente di contenere le rappresentazioni simboliche del nuovo corpo.

Nella seconda parte, riguardante le soluzioni difensive per fronteggiare il rischio di breakdown, si passano in rassegna situazioni molto diverse tra loro.

Può esservi l’utilizzazione momentanea di modalità polimorfo-perverse nella relazione con il proprio corpo o con l’altro, che possono essere utili per offrire una difesa potente, atta ad arginare una più grave regressione e offrire il tempo necessario ad attraversare una fase difficile e pericolosa dello sviluppo: così come la condizione di ritiro, la creazione di un’identità segreta a cui si prestano tutti i tipi di giochi di ruolo, l’esternalizzazione, come ad esempio nel legame amoroso nel quale l’oggetto investito diventa il sostituto idealizzato di ogni tipo di relazione, o come i comportamenti violenti agiti come negazione delle depressioni o delle fantasie suicidarie. 

Ma può esservi anche la produzione di fantasie e il fantasticare. Talvolta le fantasticherie possono rappresentare un rifugio della mente, altre volte possono essere formazioni intermedie nell’evoluzione verso la capacità di sognare l’esperienza o al contrario la scarica in un delirio o in un’allucinazione.

Tra le difese dal crollo viene presa in considerazione anche la problematica molto attuale del genere (transgender, gender fluid…), per chiedersi se, di volta in volta, essa debba essere considerata come una difesa dallo scompenso, prodotto del conflitto pubertario, oppure come un nucleo profondo riguardante l’identità di genere che ha determinato un conflitto pubertario e l’odio per il corpo sessuato nel quale il paziente non si riconosce.

E infine, last but not least, i self cutting. Si esplora il possibile significato di quei tagli che alcuni adolescenti si infliggono, che sono in alcuni casi legati al senso di un’identità inconsistente e ad un sé poco coeso. Rimedi estremi che pure “consentono di ristabilire, tagliando la pelle, alcune delle sue funzioni psicologiche primitive, come il senso dei confini del corpo e dell’Io” (pag. 272).

La pelle può funzionare come schermo per le proiezioni dell’adolescente, verso la simbolizzazione, oppure come un tentativo di ristabilire la funzione di pelle contenente non esercitata dall’ambiente, la ricerca di un senso di realtà o l’evacuazione di una tensione troppo forte.

Come si è potuto evincere da quanto fin qui esposto, il libro è veramente ricco, di appassionante lettura e utilissimo strumento per il lavoro clinico.

Daniela Lucarelli

Vitiello L. (a cura di) Tracce di pensiero nei solchi della Pandemia. Dall’emergenza all’emersione. Roma: Alpes, 2021. Pagine 224. Euro 19,00.


Leggendo alcuni contributi del volume, nei giorni precedenti alla sua Presentazione nell’ambito delle attività della Sezione Libri della SIPsIA, riflettevo su quanto, in effetti, gli scritti sul tema delle ricadute della Pandemia da Sars Cov. 2 – in merito e sul metodo dei trattamenti psicoterapeutici che hanno avuto corso nei suoi momenti più critici – siano stati molti e interessanti. Credo, tuttavia, che più raramente si sia potuto accedere ad una riflessione così puntuale e rigorosa come quella proposta dalle colleghe Autrici di questo volume. Il loro testo ci aiuta, infatti, a riflettere su quanto la relazione terapeuta-paziente, in quella particolare e drammatica situazione, possa essersi profondamente modificata, e in che modo. E questo non solo per le inevitabili ricadute nella relazione di ciò che si è costituito come un vero e proprio trauma condiviso, ma soprattutto per i contenuti e la qualità stessa delle dinamiche transferali che si sono potute osservare in quel particolare contesto di cura. Il libro a più mani, a cura di Lucia Vitiello, autrice, peraltro, di molti contributi contenuti nel testo, costituisce infatti una puntuale e rigorosa occasione di approfondimento e di riflessione, in un’ottica squisitamente attinente alla ricerca psicoanalitica, sulle dinamiche sottese in particolare all’adozione del setting da remoto cui si è fatto ricorso nella situazione pandemica. Una ricerca che nasce dalla clinica, dunque, e che ha cercato di sviluppare un pensiero intorno al senso e alla direzione delle variazioni di transfert, in termini di attivazioni o ri-attivazioni di contenuti, percezioni e vissuti che potevano essere mobilitati in quella particolare condizione di cura.

Una ricerca che ha, dunque, privilegiato l’osservazione dei meccanismi inconsci messi in gioco nella relazione terapeutica in quella particolare situazione, non solo collegandola alla perturbante minaccia di un nemico invisibile e reale quanto letale, in grado di scardinare le basi stesse della fiduciosa relazione con gli oggetti esterni, ma anzi conservando, con lucidità e attenzione, una nitida lente di osservazione sull’emersione delle particolari qualità dei vissuti nella relazione di transfert, nella reviviscenza del mondo interno e dei suoi oggetti, fino ad osservare, ad esempio, con il fine strumento del controtransfert, l’emergere di condizioni molto arcaiche, pre-oggettuali – o forse sarebbe meglio definirle come proto-oggettuali – che si sono fatte presenti vividamente, e inaspettatamente, e che venivano evocate non solo dal particolare contesto e al vissuto soggettivo della situazione in sé, ma paradossalmente dalle stesse modifiche del setting abituale a favore dell’adozione della modalità in remoto. Su questo vertice, ad esempio, troviamo le interessanti considerazioni della Vitiello sul caso di Mario (nel cap. “La casa: Rifugio di morte, Rifugio dalla morte”, pag. 3) in cui la terapeuta percepisce nitidamente la sensazione di uno sputo arrivarle sulla mano attraverso lo schermo. Un fenomeno a metà strada fra un’allucinazione controtransferale che “satura lo spazio lasciato vuoto dalla presenza reale e sensoriale condivisa” (ibidem) e un’evenienza ipotizzabile come epifenomeno della dinamica transferale in reazione alla deprivazione in quella particolare situazione. Una sensazione concreta e pre-simbolica coinvolge la terapeuta; una sensazione che Carmela Guerriera, nella sua intensa Introduzione al testo, ipotizza nei termini di una “percezione amodale” e di “interazioni trans-modali” (cfr. Stern, 1986). Precocissime forme e modalità di relazione che di fatto costituiscono le basi della sintonizzazione affettiva e fondano il rapporto fra il neonato e sua madre. E tuttavia, in parallelo, in altri contributi troviamo alcune interessanti osservazioni su come, ad esempio, in certi casi la connessione da remoto si sia configurata come una risorsa dalle notevoli potenzialità nel sostenere e favorire i processi maturativi in età evolutiva (Arabella di Ruocco) e le spinte separative e soggettivanti in pazienti adulti (Lucia Vitiello). Dunque non solo uno strumento di fortuna, per quanto tecnologicamente sofisticato, atto a non sottoporre, in un contesto così incerto, la relazione terapeutica ad una sospensione “sine die”.

Tutto questo senza eludere, nelle intenzioni delle Autrici, una lucida analisi sui limiti, i versanti problematici e le dinamiche ancora poco definibili attivate nella relazione terapeutica con l’adozione di forme diverse da quelle pertinenti all’assetto abituale. In effetti, ripensare lo strumento analitico, con le sue molte variabili e i possibili adattamenti, in relazione ai vari contesti di cura e alle patologie trattate, è stata un’esigenza avvertita da tempo nell’ambito della ricerca in campo psicoanalitico. Abbiamo spesso sentito parlare di un setting che deve necessariamente farsi più “malleabile”, più adattabile ai vari ambiti d’intervento e alle varie situazioni, pur rimanendo fedeli e consapevoli della ineludibilità di un pensiero psicoanaliticamente informato proprio per accedere con consapevolezza alle diverse forme possibili di offerta di cura (Green, 2012; Roussillon, 2006).

Questa tensione si avverte con chiarezza nei vari contributi offerti e si rintraccia in tutto il volume come un filo rosso che li collega, pur nelle diverse modulazioni legate ai diversi ambiti e contesti di cura. Sono, infatti, realtà multiformi della relazione terapeutica in tempo di Pandemia quelle cui le autrici hanno, e da varie angolazioni, posto attenzione. Contesti impegnativi e coraggiosi, come gli interventi del Servizio Psichiatrico nelle Carceri (Maria Zenone), o le esperienze di cura con i malati oncologici (Francesca Cappuccio), o con i bambini di un Centro di Riabilitazione (Alessia Palumbo), solo per citarne alcuni... Tuttavia, fra i molti vertici offerti dal testo, sulla clinica e le sue variazioni in quel contesto, c’è indubitabilmente quello di offrire una preziosa occasione di riflessione su quelle che sono le basi fondanti, i cardini, le invarianti del lavoro analitico al confronto con i nuovi mezzi terapeutici adottati, e le traduzioni inconsce, le particolari attivazioni di vissuti e fantasie, il senso e la risonanza con il mondo interno legati, in particolare, all’assetto terapeutico da remoto. A questo proposito, René Roussillon scrive:

(…) c’è un transfert specifico che si gioca sul dispositivo e che non può essere semplicemente considerato come uno spostamento del transfert centrale sull’analista. Sul dispositivo si trasferisce il rapporto del soggetto con la simbolizzazione, direi anzi più precisamente, il transfert della storia del soggetto in rapporto alla simbolizzazione, la storia dei suoi successi, dei suoi rischi o addirittura dei suoi traumi specifici. Ed è in funzione di questo transfert che il dispositivo è “utilizzabile” per un dato soggetto. Certamente questo transfert è interpretabile. (Roussillon, 2018, pag. 57).

La raffinata riflessione proposta dalle Autrici si è resa possibile, a mio avviso, soprattutto perché tutte loro hanno assunto una postura, una disposizione interna – corrispondente all’assetto interno dell’analista – che non è venuta meno anche in quelle difficili condizioni e che si è resa disponibile, nell’intento della cura, a situarsi in un’ottica che non si fermasse esclusivamente al già noto, o alla dimensione dell’assenza o di ciò che risultava mancante – la presenza fisica, il dato percettivo e sensoriale della relazione dal vivo – ma fosse costantemente alla ricerca di elementi utili e vitali da restituire al paziente per la comprensione del proprio mondo interno, pur con l’adozione di strumenti inusuali per declinare, comunque e da varie angolazioni, la relazione terapeutica stessa in un tale momento. È come se le terapeute avessero fatto più che mai ricorso, in quei frangenti, alla loro “capacità negativa” (nel senso concepito dal poeta John Keats e poi sviluppato nel pensiero psicoanalitico di Bion e Green), ovvero alla capacità di tollerare l’ignoto, di non muoversi esclusivamente nei territori del “già conosciuto” per situarsi in uno spazio di “sospensione attiva”, per così dire, lasciando emergere nuovi pensieri, accogliendo nuove ipotesi e nuovi interrogativi sui mezzi e sulle nuove tecnologie cui si è fatto ricorso. Una specifica realtà, questa, che del resto permea e caratterizza il nostro mondo. Si tratta di temi che vengono particolarmente approfonditi nell’interessante scritto di L. Vitiello, “Attraversando il cambiamento. Riflessione sull’utilizzo delle nuove tecnologie” (ibidem, pag. 211). Per lo sviluppo di questi argomenti così attuali, alle Autrici va sicuramente reso il merito di aver concepito un pregevole lavoro e di aver compiuto un ulteriore sforzo di riflessione senza dubbio utile, approfondito e rigoroso.

Lucia Celotto

Bibliografia

Baldassarro A (a cura di). La passione del negativo. Omaggio al pensiero di A. Green. Roma: Franco Angeli, 2018.

Bion W R (1970). Attenzione e Interpretazione. Trad it., Roma: Armando,1973.

Green A (2012). La clinica psicoanalitica contemporanea. Trad. it., Milano: Cortina, 2016.

Keats J. Lettere sulla poesia. Milano: Feltrinelli, 1984.

Roussillon R (2006). La conversazione psicoanalitica: un lettino in latenza. Ricerca psicoanalitica, XVII (2). Roma: Franco Angeli.

Roussillon R (2018). Paradigmi per un’estensione della pratica psicoanalitica. In: Bastianini T., Ferruta A. (a cura di), La cura psicoanalitica contemporanea, Roma: Fioriti Editore.