Recensioni

Gabbriellini G., Luperini A. e Nissim S. (a cura di) Giovanni Hautmann e la passione del pensiero. Milano-Udine: Mimesis Edizioni, 2020. Pagine 128. Euro 13,00.


Il libro è importante e ha grandi meriti, oltre che essere un omaggio affettuoso alla memoria di Giovanni Hautmann. Alle tre ‘Sezioni’ (Hautmann precursore, Hautmann in dialogo, Hautmann tra scienza ed estetica) si uniscono, per un loro particolare valore di ‘classicità’ e di innovazione, due suoi scritti: Il mio debito con Bion. Dalla psicoanalisi come teoria alla psicoanalisi come funzione della mente (1981) e Tra attenzione fluttuante e fissità disattentiva (2010). Nei lavori del libro, a partire dalle grandi edizioni dei suoi scritti (in particolare Il mio debito con Bion, 1999; La psicoanalisi tra arte e biologia, 1999; Funzione analitica e mente primitiva, 2002), vi è una esigenza e una ricerca di nuove sintesi, e si creano e si ritrovano originali e inattesi collegamenti di idee e linee di confronto con culture e autori della psicoanalisi contemporanea. Aperture e anticipazioni, “passione” vera del pensiero e della ricerca, “debito” nei confronti di un suo stile mai propenso a facili ‘revisionismi’, alla teoresi di modelli assoluti, ma fluido e aperto nel progredire anche incerto delle idee e delle innovazioni. Si percepisce nei curatori del libro una commossa gratitudine, nel ricordo anche di alcuni suoi tratti umani: la signorilità e l’ironia intelligente, la straordinaria capacità di ascolto, la generosità del suo pensiero, la metodicità e la forza interiore delle sue ipotesi.

Il libro è stato pubblicato in versione bilingue italiano-inglese (sempre presso le Edizioni Mimesis), per una valorizzazione in più ampi contesti internazionali e una migliore condivisione linguistica nella comunità psicoanalitica. E vi è certo anche il grato ricordo e il pensiero del lungimirante e purtroppo breve tentativo di Hautmann, negli anni della sua presidenza della S.P.I. (1986-1990), di pubblicare in tale doppia versione la Rivista di Psicoanalisi. 

La riflessione di Hautmann, sintesi e unione tra passato e presente, tra clinica e teoria, ha messo a fuoco quanto di specifico c’è nel processo psicoanalitico come metodo conoscitivo, trasformativo e terapeutico (il tema è trattato, tra gli altri, nel denso saggio di Gregorio Hautmann e Andrea Marzi Gli elementi fondamentali del pensiero teorico-clinico di Giovanni Hautmann). Le fantasie inconsce, il setting, l’interpretazione, sono elementi “interdipendenti ed inseparabili” (pag. 25), a costituire “una sorta di unità vivente… come le cellule per la biologia” (pag. 40), e sono fondamento comune per la psicoanalisi. Se il pluralismo delle teorie appare anche necessario, nel rinnovarsi del pensiero analitico, come lo sono apporti culturali di altre discipline, Hautmann mette sempre in primo piano “i punti di contatto, più che le difformità concettuali, le progeniture, più che gli strappi teorici” (pag. 57), il valore di una grande tradizione, evitando il rischio di vaghi ‘eclettismi’ o di confuse ‘pluridisciplinarità’. Una idea ‘forte’ e coerente, attenta a non smarrire, nel vorticoso e rapido mutarsi dei tempi e delle idee, quelle pur limitate certezze che la ‘scienza’, anche quella analitica, ci affida. Tra i meriti del libro vi è il richiamo alla complessità di questo tema e l’auspicio di una ‘psicoanalisi futura’ che mantenga una proficua dialettica di confronti e controversie, di dialogo e di integrazione.

L’apporto di Wilfred Bion appare ad Hautmann “rivoluzionario”. La sua psicoanalisi, “unità psicologica vivente”, non è una nuova ‘scolastica’, ma una “funzione della mente”, una ricerca di un “vero e buon capire”, un silenzioso dialogo e una vera “immaginazione speculativa”. Molti sono i punti di sintonia, di contatto e anche di originalità di Hautmann rispetto al pensiero bioniano. Vogliamo almeno far cenno alla sua ricerca sulle origini più primitive e lontane della vita della mente, sui momenti aurorali della nascita del pensiero e del Sé: dal complesso articolarsi del ‘magma protomentale’, da ciò che precorre le sensopercezioni e le emozioni, alla prima formazione del Sé, con il delinearsi di una ‘pellicola’ di pensiero, primo contenitore della “unità materno-fetale”, prima potenzialità “visuo-immaginativa”; dalla descrizione di un primo abbozzo “onirico simile”, al presentarsi di un oggetto di relazione, nel lavoro trasformativo sugli elementi beta e gli elementi gamma. Nascono emozioni che affermano la “passione” di esistere, di essere nel mondo, nella intensità e nel calore, nel dolore, nel senso di precarietà del Sé, nel terrore di un ritorno alla dispersione e alla immobilità. La formazione del Sé ha grandi oscillazioni, nel continuo e nel discontinuo della esistenza, da una condizione di fusionalità all’incontro con l’oggetto primario, la madre, il seno, e il nascere dell’Io e di una possibilità di relazione dipendente.

La grande complessità del tema del “debito” di Hautmann verso Bion trova più ampia attenzione in alcuni saggi del libro: in particolare Hautmann precursore della psicoanalisi attuale, di Francesco Conrotto; il citato lavoro di Gregorio Hautmann e Andrea Marzi; Psicoanalisi come metodo e come scienza, di Alberto Meotti; L’arte della parola tra psicoanalisi e letteratura negli scritti di Giovanni Hautmann, di Gabriela Gabbriellini, Raffaella Tancredi e Maria Grazia Vassallo. Da questa complessità, e da una sua dialettica sempre più puntuale, potranno mostrarsi nuovi sentieri di ricerca, e nuove dimensioni di pensiero, in riferimento, anche, lo auspichiamo, agli scritti bioniani del periodo americano (1968-79), gli ultimi suoi scritti (i Seminari, le Autobiografie, e in particolare la Trilogia di Memoria del Futuro). Memoria del futuro, che Hautmann considerava un tentativo di Bion di comprendere la mente nella “drammatizzazione della sua struttura espressivo comunicativa”, e forse “il più alto saggio psicoanalitico di immaginazione speculativa” (Il mio debito con Bion, cit. pag. 92).

Nel pensiero di Hautmann, scrivono Gabbriellini, Tancredi e Vassallo “la natura estetica della funzione psicoanalitica della mente è elemento centrale” (pag. 15). Molte sono le citazioni letterarie nei suoi scritti, di autori (tra gli altri) come Pasternak, Montale, Calamandrei, Yeats, Gibran, Valery. E molti i riferimenti anche a testimonianze di esperienze mistiche. Nella sua psicoanalisi vi è un “intrecciarsi di un vertice narrativo e di un vertice teoretico e il suo operare fra ‘rigore e creatività’ si confronta sempre con lo sforzo di darne rappresentazione con parole che trasmettano un pensiero trasformato in grammatica comunicativa. La sua mente al lavoro, nell’incontro con ciò che è inconoscibile, ‘fuori dal limite’, si affida alla ‘illuminazione poetica’ per trasformare in dicibilità ciò che appare oscuro e impensabile” (pp. 100-101). Il Pasternak del Dottor Zivago affida a Jurij Andreevic una rivelazione: il suo linguaggio poetico “comincia a pensare e a parlare da sé”, come “un essere sospinti da… un senso di incombenza, l’esperienza di qualcosa proveniente da un altrove che ‘ci vive’, a cui non ci si può sottrarre e che si può solo accogliere abbandonandosi ad essa” (pag. 103). Non si può non ricordare che Wilfred Bion non riuscì a realizzare un suo progetto ‘fantastico’ e prezioso, quello di raccogliere una ‘antologia’ di poeti da suggerire come testo formativo per i futuri psicoanalisti; al di là e oltre la necessaria conoscenza delle grandi teorie e delle metapsicologie.

Scrittori e poeti, dunque, con il loro particolare linguaggio, con la loro “passione”, “che contiene il senso e l’emozione dell’esistere e che accende il pensiero” (pag. 108), nella intensità e nel calore, e anche nel “dolore mentale” (e qui Hautmann va oltre le descrizioni di Bion) delle angosce di dispersione nell’infinito della adimensionalità e della solitudine. 

Limiti di spazio impediscono di fare un cenno più ampio ad altri pregevoli contributi del libro (Sesto Marcello Passone: Il pensiero di Giovanni Hautmann in dialogo con la psicoanalisi francese; Enrico Levis: L’apertura al simbolico tra Hautmann e Resnik). Vorremmo pensare a nuove future iniziative editoriali e di ricerca: un ‘Dizionario’ dei termini e del linguaggio di Hautmann; una raccolta ulteriore dei suoi Seminari formativi di gruppo e di supervisione; una riedizione dei suoi scritti che possa favorire, nelle presentazioni e nei commenti critici, linee evolutive, riferimenti e nuove ipotesi di pensiero per il futuro della psicoanalisi.

Vittorio Biotti

Di Renzo M., Fionda B., Rogora C. (a cura di), Genitori. Riflessioni psicoanalitiche sul mestiere “quasi” impossibile. Roma: Edizioni Magi, 2021. Pagine 176. Euro 20,00.


Questo agile volumetto, concepito dalle tre curatrici per fare il punto sulle conoscenze della ricerca sullo sviluppo infantile utili a riflettere sulle funzioni dei genitori nel corso dello sviluppo, si rivolge a tutti gli operatori che si trovano a lavorare con bambini e genitori e agli stessi genitori che vogliano comprendere meglio le dinamiche familiari nella crescita dei propri figli, poiché i riferimenti alla letteratura specialistica, sia psicoanalitica che di ricerca, sono esposti e discussi in tutti i capitoli con un linguaggio piano e accessibile anche ai non specialisti.

Magda Di Renzo, Barbara Fionda e Chiara Rogora sono tre analiste junghiane (la prima afferente al CIPA, le altre due all’AIPA) che hanno lunga esperienza di lavoro clinico con bambini e adolescenti: Di Renzo in quanto responsabile del servizio di psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia (un servizio che da anni opera nel privato-sociale); Fionda e Rogora in quanto psicologhe dirigenti di servizi pubblici da molti anni, Fionda nell’ambito dei servizi consultoriali per la Tutela della Salute Mentale della Donna, dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Rogora nell’ambito della Neuropsichiatria Infantile del Servizio Sanitario Nazionale. Il volume raccoglie nove capitoli, firmati da autori diversi e a maggioranza dalle stesse curatrici, in cui la funzione genitoriale viene illustrata in relazione a differenti tappe dello sviluppo, dalla vita prenatale (Stefanini e Trentini) fino all’adolescenza (Tagliacozzi). Questi capitoli perseguono anche un fine socio-culturale rilevante: come scrivono le tre curatrici, “Sembra fondamentale, in questo momento storico, ribadire l’importanza delle cure genitoriali lungo tutto l’arco dello sviluppo, perché una visione diagnostica solo categoriale ha rischiato di depauperare le relazioni umane di quella componente emotiva che ne costituisce, invece, una base imprescindibile in tutti i contesti e per ricordare che non può esistere una vera educazione del bambino che non passi attraverso una crescita emotiva dei genitori” (pag. 28).

Molto interessante appare l’esplorazione delle “radici prenatali dell’intersoggettività” nel secondo capitolo, dove Lavinia Stefanini e Cristina Trentini propongono un’originale integrazione dei modelli emersi dall’Infant Research circa le competenze del neonato con quelli suggeriti dagli studi neurobiologici sullo sviluppo prenatale. Un altro capitolo, scritto da Chiara Rogora, presenta evidenze congiunte della ricerca psicologica e di quella neuroscientifica circa le caratteristiche e le conseguenze dei traumi relazionali precoci sul neurosviluppo del bambino. La necessità e l’importanza di un approccio clinico dinamicamente avveduto al lavoro con i genitori è documentata dagli altri capitoli che affrontano diversi temi: dai disturbi dell’apprendimento (Barbara Fionda) all’autismo infantile (Magda Di Renzo), dal sostegno alla genitorialità nelle varie fasi dello sviluppo (Paola Chieffi) alla peculiarità della crisi genitoriale che spesso accompagna le crisi evolutive dell’adolescenza dei figli (Bruno Tagliacozzi), fino ad un capitolo finale sugli aspetti più spinosi della genitorialità nel “nostro tempo” (scritto dalle tre curatrici), dove si esplorano le delicate implicazioni psichiche della scelta genitoriale in età avanzata e del ricorso a tecniche di fecondazione assistita.

Malgrado la sintesi di questi veloci capitoli, le informazioni in essi contenute sono molto aggiornate e provengono, come si è detto, da diverse aree di ricerca, i cui studi empirici sono utilizzati per amplificare e dare conto delle esperienze cliniche personali degli autori. Le riflessioni teoriche, mai sganciate dal contesto sociale e culturale in cui ci muoviamo come analisti nel nostro tempo, nonché le indicazioni operative per il lavoro clinico, che scaturiscono sia dai risultati delle ricerche che da una prassi analitica rivolta ai genitori, possono risultare a mio avviso di aiuto sia per i terapeuti che lavorano con bambini e adolescenti, sia per i terapeuti che offrono terapie familiari o sostegno alla genitorialità. La lettura di questo scorrevole volume potrebbe essere consigliata anche a genitori in crisi, o a giovani e meno giovani coppie che si affacciano a quell’avventura affascinante e tremenda della genitorialità.

Alessandra De Coro