Aftersun

Regia di Charlotte Wells (2022)

margherita rossi


C’è sempre un tempo, nel naturale ciclo di vita di una famiglia, nel quale spinte evolutive creative e vissuti malinconici, di perdita, coesistono. Quel tempo arriva quando irrompe la pubertà, quella rivoluzione che preme dal basso, che trasforma i legami familiari, impone nuovi assetti. La pubertà cambia il modo di guardarsi, di parlarsi, pretende spazio, crea distanze. E cambia anche il senso del tempo: riscrive la storia passata, si proietta verso il futuro, rimodulando ex novo il ritmo del tempo che scorre, troppo veloce o troppo lento, a seconda di chi osserva, di chi quel tempo, nella famiglia, lo vive.

Aftersun, della regista esordiente Charlotte Wells, apre una finestra su questa stagione della pubertà, accompagnandoci per mano dentro la storia di Calum e Sophie, un giovane padre e sua figlia di 11 anni. Vincitore del Premio della Giuria “French Touch” nella Settimana della Critica di Cannes 2022 e uscito in Italia nel gennaio 2023, Aftersun è un film malinconico e pieno di vitalità allo stesso tempo, che ci attraversa inondandoci di tenerezza, di timori, ma anche di speranze.

La storia alla quale assistiamo, curiosi e sospesi, è quella di un racconto in flash-back, ricordo di una vacanza estiva, forse l’ultima di Calum e Sophie insieme. Qualcuno mette su una vecchia videocassetta, per rivedere proiettate le immagini di quei momenti, e ci ritroviamo in un film nel film, una meta-rappresentazione, come lo sono in fondo i ricordi, che mai sono una perfetta copia della realtà, ma che affiorano piuttosto come una ricostruzione, una riscrittura. Sophie è alle prese con le sue prime esperienze puberali, il corpo che cambia, lo sguardo rivolto ai ragazzi, alle ragazze più grandi, alla sessualità che si intravede, ma che per ora si può solo fantasticare. E però, allo stesso tempo, Sophie vuole ancora godersi il padre, sentire il desiderio di giocare con lui, di toccare con le mani di bambina il suo corpo adulto, stringerlo con le sue braccia. Avanti e indietro, sostando un poco ancora dentro l’infanzia, il tempo chiuso nei legami familiari, e poi fuori, un pezzetto avanti nella scoperta degli altri, del nuovo senso di sé.

Le inquadrature, e con loro il nostro sguardo, sono ravvicinate, intime, colgono espressioni del volto più che parole dette, porzioni di corpi più che movimenti espliciti, lasciando intendere più che dire chiaramente, contribuendo così a creare un’atmosfera sospesa, in cui nulla davvero accade, ma tutto sembra giocarsi all’interno, nel vissuto dei personaggi.

Calum è un giovane uomo affaticato. La vacanza è in bassa stagione, senza lussi, l’albergo è in ristrutturazione. Ci sono delle crepe nell’edificio, che appare friabile, come lo è lui, che di tanto in tanto, quando è da solo con le sue ferite, si lascia andare al pianto, alla disperazione, forse alla tentazione di mollare. Ma quando è con Sophie è capace di recuperare, di recuperarsi, come se il ruolo di padre, di genitore, lo chiamasse a tirare fuori risorse anche oltre la propria disperazione e lasciare qualcosa di buono di sé, nonostante le fatiche, lo sforzo, la disperazione appunto.

Come quando, appena arrivati in albergo, i due scoprono che nella stanza c’è un unico letto, matrimoniale. Assistiamo con un certo disagio a quel rischio di un’intimità inappropriata, ormai fuori luogo, fuori tempo e restiamo sospesi, chiedendoci se questo padre sarà capace di rimodularsi rispetto alla nuova stagione di Sophie. Ma Calum ci sorprende, lui pur così friabile, come testimonia il suo braccio ingessato, metafora di altre rotture ben più profonde, eppure capace di intuire che il tempo non è più quello di prima, non si può più. Così farà aggiungere un piccolo letto per sé, lasciando spazio a Sophie. Vorremmo dirgli che è stato proprio bravo, sostenerlo, riconoscergli questa sensibilità, nonostante tutto, che lo rende capace di sintonizzarsi sulle nuove necessità, sapendo cogliere i cambiamenti e le trasformazioni del corpo e dell’età, che richiedono altrettante trasformazioni nella relazione, nello spazio, nei gesti.

Perché la spinta narcisistica del pubertario, dell’adolescenza che preme, è inesorabile e anche un po’ crudele: non si accorge, non vede, non si cura (e per fortuna!) del sentimento nostalgico che vivono i genitori, di quel senso di perdita, della fine di qualcosa che non sarà più come prima, e avanza, nonostante tutto. Sophie sembra non vedere la fatica di Calum, che per lei resta l’eroe idealizzato, il suo primo compagno di giochi, a cui tornare.

Ma noi, invece, vediamo e lungo tutto il film facciamo continuamente, a ogni nuova scena, l’esperienza come di un’attesa di qualcosa che deve accadere. Ma che cosa? Forse è l’adolescenza di Sophie, che spazzerà via tutto quello che c’è stato, che c’è oggi. O forse il definitivo cedimento di Calum, che non ce la farà a ricostruirsi e a cicatrizzare le sue ferite, a superare la sua disperazione, la sua solitudine, il suo senso di inadeguatezza.

Percepiamo come il presagio di qualcosa che deve avvenire ma che in realtà è già avvenuto, se ciò che vediamo è un flashback. Allora “aftersun”, la crema che si spalma sul corpo per lenire le bruciature quando si è stati troppo esposti al sole, quando forse ormai è troppo tardi, sembra essere anche un racconto in après-coup, sulla dolcezza della nostalgia e il dolore dei ricordi, con cui in fondo ri-costruiamo la nostra storia, continuamente. Sul desiderio di poter rivivere quello che allora non avevamo visto, di cui non ci eravamo accorti nel tempo presente, di cui non avevamo consapevolezza. Chi è che all’inizio del film riavvolge il nastro e guarda quelle immagini indietro nel tempo è proprio Sophie, che oggi può, appunto in après-coup, a posteriori, vivere insieme a noi quel senso di perdita dolce e nostalgico, che tuttavia non è solo malinconico, ma ha anche il senso della ricostruzione, della riappropriazione.

“Mi sarebbe piaciuto restare di più” dice Sophie alla fine della vacanza. “Anche a me”, le fa eco Calum, proprio a rappresentare il desiderio di sostare ancora per un po’ nel presente, intuendo che di lì a poco tutto cambierà.

E anche noi, insieme a loro, vorremmo sospendere il tempo, immaginando che, fuori da quelle immagini, oltre quel momento, Calum e Sophie non si siano poi del tutto persi.