Segnalazioni bibliografiche*

Premessa introduttiva

Parlare di adolescenza non può prescindere da un discorso sul corpo e sui processi multiformi che conducono, attraverso una ristrutturazione identitaria, verso nuovi funzionamenti e compiti fase-specifici. Tali processi sono necessari affinché le trasformazioni puberali possano essere integrate nella mente degli adolescenti, seguendo un percorso discontinuo in cui si alternano fasi di integrazione e non integrazione.

L’adolescenza, considerata non solo come una fase evolutiva, ma, citando Nicolò, come un enzima attivatore, stimola reazioni psichiche metaboliche che, coinvolgendo la relazione corpo-mente, «precipitano», inevitabilmente, in nuove configurazioni del Sé.

Come professionisti che lavorano con l’adolescenza, ci troviamo sempre di più a trattare patologie che investono il corpo come un significante in cerca di un significato; pensiamo all’anoressia, alla bulimia, alle pratiche di self-cutting, alle abboffate di materiale pornografico annesse alla masturbazione compulsiva. Tutte situazioni psicopatologiche in cui il corpo viene denegato, annullato, martoriato, aggredito, eccitato, per ricusare una sofferenza insostenibile. Si genera quindi un paradosso: il corpo ripudiato, misconosciuto, disinvestito libidicamente, diventa oggetto concreto a cui l’adolescente si aggrappa strenuamente per non precipitare in un’angosciosa non-esistenza.

A partire dal contributo fondamentale di innumerevoli lavori clinici e di ricerca presenti




*Rubrica a cura di: F. Gigli (coordinatrice), M. Carboni, S. Cimino, L. De Rosa, A. Flori, V. Garms.

nella letteratura psicoanalitica, risulta evidente come la relazione primaria con la madre rappresenti la matrice all’interno della quale il corpo può costituirsi come un oggetto interno integrato.

L’assenza di una relazione primaria contenitiva lascerà il bambino in balia di esperienze sensoriali potenzialmente soverchianti che ostruiranno l’investimento libidico sul proprio corpo. In questo senso l’avvento della pubertà, che porta in dote lo stravolgimento del corpo infantile, attivando trasformazioni esperite dall’adolescente come vissuti catastrofici, ostacola processi di integrazione, individuazione e differenziazione del Sé.

Le segnalazioni presentate in questo numero, partendo dall’esperienza clinica, propongono chiavi di lettura tese ad ampliare il significato di fenomeni somato-sensoriali come le «scarificazioni», e l’esperienza del “perturbante”, che investono il corpo durante l’adolescenza.

Pierre Denis, partendo dalla teoria pulsionale, si interroga sul significato che hanno per un’adolescente le reiterate pratiche auto-aggressive. L’analisi del materiale clinico porta l’autore ad interpretare le scarificazioni della paziente, non come espressione di una spinta suicidaria, ma tentativi di rivitalizzare il proprio corpo a fronte di un senso pervasivo di vuoto, in uno scenario desolante in cui il disinvestimento del mondo interno non le permetteva di attivare una funzione di pensiero.

La Bronstein, nel suo articolo, offre una rilettura molto interessante in cui avvicina il concetto freudiano del perturbante all’esperienza di alienazione che l’adolescente sperimenta rispetto al proprio corpo. La paradossale sensazione di essere abitati da un «doppio», in cui il senso di Sé è contemporaneamente sia dentro al corpo che dislocato fuori, viene interpretata dall’autore come un processo dissociativo funzionale al mantenimento del contatto con la realtà che preserva l’adolescente dallo scivolamento psicotico dove, contrariamente, il senso di estraneità è definitivamente perduto.

Marco Carboni


Denis P (2022).                    

L’auto-aggression est-elle sexuelle?

Adolescence, 40, 1, 39-51.

Partendo dall’assunto che la sessualità contiene necessariamente una quota di aggressività, l’autore si interroga circa la valenza delle auto-aggressioni e scarificazioni in adolescenza, comportamenti che aprono ad una lunga e complessa riflessione costellata da continui rimandi alla teoria freudiana.

A partire dai primi colloqui con un’adolescente che presenta dei comportamenti di auto-aggressione, l’autore esplora i registri del vitale e del sessuale e i destini pulsionali dell’aggressività alla luce delle due topiche freudiane.

Tutti i comportamenti aggressivi, sessuali o meno, testimonierebbero un deficit di mentalizzazione, nella misura in cui quest’ultima non riveste la sua funzione di ritenzione e di vincolo dei moti pulsionali aggressivi.

Sarà il primo colloquio di consultazione con un’adolescente, richiesta per scarificazioni ricorrenti, a stimolare nell’autore una lunga e profonda riflessione intorno a questa tematica. Le automutilazioni di questa ragazza si producono in un contesto d’angoscia depressiva preoccupante. È sembrato subito evidente come i suoi agiti rivelassero, più che intenti suicidari, dei tentativi di rivitalizzazione. Da qui nasce l’interrogativo se queste auto-aggressioni meritino di essere chiamate sessuali. Il vitale ed il sessuale non sono sinonimi e dalla loro distinzione dipende la qualità dei comportamenti aggressivi.

Difatti, sebbene abbiano un’origine comune, il registro del vitale e del sessuale hanno dei destini opposti: il vitale si rapporta all’autoconservazione e alla sopravvivenza individuale. Il sessuale partecipa alla conservazione della specie, ma la sessualità umana non serve solo per la riproduzione e non attende la pubertà per manifestarsi.

Riferendosi a Freud, in un doppio movimento, la pulsione sessuale poggia sulla funzione vitale e si stacca in un secondo tempo per imitarla. Questo è illustrato molto bene nella differenziazione tra suzione per alimentarsi e suzione per il piacere, indipendentemente dal nutrimento.

La perdita dell’oggetto non è tanto il fatto che la madre ritiri il seno dalla bocca del bambino, ma è soprattutto che quest’ultimo, grazie ad una prima organizzazione dell’Io apre gli occhi su un’assenza del seno. Egli prende in considerazione la percezione di un oggetto mancante, è il principio di realtà. Solo allora la pulsione torna indietro ed investe il proprio corpo per trovare un soddisfacimento sostitutivo.

Gli atti di scarificazione di questa ragazza non si accompagnano ad alcun piacere, ad alcuna fantasia. Vi ricorre quando è invasa da una sensazione di vuoto. Durante il colloquio, mentre cala il silenzio, la ragazza si assenta psichicamente, sembra dormire ad occhi aperti. Sollecitata con discrezione dal suo analista, lei non lo sente e quando egli insiste, ella sussulta e ritorna in sé sorpresa e sconcertata. La ragazza non può soggiornare in un’assenza indotta dal silenzio dell’analista o da qualsiasi altra attesa. La contro-investe subito fissando con gli occhi un punto qualunque in una fuga centrifuga. Il disinvestimento del suo mondo interno, senza trovare un supporto sul mondo esterno, le impedisce di fare un lavoro di pensiero. Lei si assenta a se stessa.

Ritornando al quesito iniziale dell’articolo, l’autore afferma che le auto-aggressioni di questa ragazza non possono essere considerate come un’espressione pulsionale a scopo passivo, masochistico, poiché esse non sottendono alcuno scenario fantasmatico includente un’eteropunizione da parte di un oggetto terzo. Non è nemmeno sicuro che abbiano un significato di autopunizione non evocando in lei alcun senso di colpa. Ma come spiegare che questi sintomi siano comparsi al momento della pubertà? L’autore ritiene che le sue capacità di mentalizzazione siano debordate dall’incursione pulsionale pubertaria provocando una regressione dei suoi investimenti oggettuali.

Il lavoro psicoterapeutico sarà indirizzato a far sì che questo movimento di rivitalizzazione diventi psichico piuttosto che manifestarsi in agiti auto-aggressivi, in modo tale da cadere sotto il dominio del principio di piacere e non più direttamente sulla sua pelle. Infine, il lavoro psicoterapeutico dovrà necessariamente favorire un’elaborazione delle esperienze di mancanza e del dolore che le accompagna permettendo così che la sua aggressività possa inscriversi in un registro oggettuale ed edipico.

Agata Flori


Bronstein C (2019).

“Is this my body?” Dealing with the uncanny in adolescence.

International Journal of Psychoanalysis, 100, 6, 1358-1370.

Catalina Bronstein si occupa da tempo degli sviluppi del concetto freudiano di ‘perturbante’ nella psicoanalisi contemporanea. In questo scritto, la tematica dell’esperienza di ‘inquietante estraneità’ viene affrontata per le sue implicazioni nello sviluppo psicoaffettivo dell’adolescente ed in particolare per la clinica dei processi dissociativi in tale età della vita.

Il senso di straniamento, talvolta di vera e propria alienazione, riferiti alla propria persona e in particolare all’esperienza del proprio corpo, sono particolarmente frequenti dopo la pubertà, in un periodo della vita in cui l’adolescente si trova ad affrontare la riviviscenza del complesso edipico e la spinta, talvolta soverchiante, delle pulsioni. Il sentimento di estraneità può riguardare parti del corpo, o l’intera persona, e intrecciarsi con le dinamiche della relazione con gli altri, generando confusione e angoscia e, in qualche caso, la fantasia di essere abitati da un ‘doppio’.

Attraverso la descrizione del caso di Lisa, l’autrice ci mostra come queste dinamiche, che rimandano ai meccanismi emotivi tipici delle prime fasi dello sviluppo emotivo, possano rappresentare l’esito di un processo di dissociazione inteso, secondo la visione freudiana, come un processo difensivo inconscio attivo. L’autrice si sofferma su come tale processo implichi la scissione sia del Sé che dell’oggetto e, insieme, un livello di consapevolezza di questi movimenti interni per il paziente: la percezione cosciente di due esperienze distinte e simultanee, sintetizzabili nell’espressione “questo è il mio corpo/questo non è il mio corpo”, cui si accompagna un inquietante sentimento di estraneità. Paradossalmente, l’effetto perturbante che accompagna questo tipo di processo di dissociazione, talora associato alla fantasia del ‘doppio’ dentro di sé, sembra mantenere questi giovani pazienti in contatto con la realtà: per percepire il sentimento di estraneità è necessario mantenere qualche consapevolezza di ciò che è ‘reale’ o familiare nel Sé, nell’oggetto ed in generale nel mondo, preservando il soggetto dalla rottura totale con la realtà: quando avviene il crollo psicotico, questo si associa alla scomparsa del senso di estraneità, mentre gli aspetti deliranti hanno il sopravvento sull’Io.

Nel caso clinico presentato, per Lisa il doppio si presenta come il prodotto di un processo di dissociazione che implica un precedente processo di identificazione proiettiva, legata al desiderio inconscio precoce di entrare nel corpo della madre per possedere e controllare, in particolare, la sua sessualità e la sua capacità creativa. La fantasia di un oggetto introiettato assume una qualità persecutoria e, nella reviviscenza adolescenziale, si associa a fantasie di ritorsione e all’angoscia, per la paziente, di essere divorata o distrutta dall’interno. 

Le dinamiche emotive espresse negli agiti adolescenziali di Lisa, e poi, all’interno della relazione terapeutica, nelle fantasie e nei sogni portati in seduta, affondano le loro origini nella relazione precoce con l’oggetto primario, intrecciate con le esperienze vitali fondamentali quali il ‘respirare’ ed il venire nutriti. Nella ricostruzione analitica, l’evoluzione delle fantasie di Lisa bambina – l’impulso epistemofilico, le fantasie relative agli altri bambini, la vicenda edipica – e la risposta profonda percepita da parte dell’ambiente possono costituire la base sulla quale si sono innestati la sofferenza emotiva e i sintomi espressi in adolescenza, incluso il ‘sentimento di estraneità’ rispetto a parti del proprio corpo. 

Nella discussione teorica presentata dall’autrice, sono numerosi i riferimenti agli apporti teorici della psicoanalisi sui processi dissociativi, dalle prime ipotesi di P. Janet e la formulazione del ‘doppio’ di O. Rank, al pensiero centrale e articolato di S. Freud sul tema, e agli apporti di M. Klein, di D. Meltzer, S. Ferenczi, e, più recentemente, M ed E Laufer. I passaggi clinici riportati consentono al lettore di mantenere sempre presente la centralità della relazione terapeutica per la comprensione dei disturbi gravi in adolescenza e il loro trattamento.

Laura De Rosa